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28 luglio 2019

Dalla ABCD alla Purfina (4)

Dall'A.B.C.D. all'A.N.I.C.

Ragusa società in movimento e l'indotto creato dal petrolio negli anni Cinquanta



(...) siede verso austro oriente ed occidente, in un arduo colle di cui bagna le radici
Veduta di Ragusa Superiore anni Venti
l’Irminio
(...). Divisa in due parti è attualmente la città, delle quali appellasi l’inferiore Ragusa e l’altra che occupa la vetta del colle Cosenza o novella (...). Fra l’una e l’altra parte è un’ampia scala giusta l’indole della rupe, stendendosi per un metro e più, fiancheggiata ad intervalli da chiese e da case particolari. La fortezza è sostenuta da un’ingente mole di sassi verso occidente e aderisce all’antica città da oriente a mezzogiorno, ma verso le altre direzioni sino ad una profondità detta volgarmente “Cava” da ogni parte è scoscesa e fornita un tempo ai quattro angoli di torri e di baluardi tenevasi come una delle più munite nell’isola e difficili ad espugnarsi pel sito, ora però abbattuta da tremuoto dopo l’anno 1613 (...) presenta da ogni parte ruine (...). I colli che sorgono all’intorno piantati in vigneti, oliveti ed albereti (...) hanno alle loro radici copiose e perenni fonti; le valli traboccanti di canape, di legumi e di biade (...). Nella pietrosa pianura intanto, che per molte miglia ampiamente si estende sulle creste delle colline, non albero occorre, ma verdeggiando in ogni tempo di erba, appresta pinguissimi pascoli ed armenti di ogni genere (...). Quivi in mezzo alla via è a vedere con giocondo spettacolo circa cento pozzi scavati nella viva pietra in piccolissimo tratto di terra, dai quali si appella il luogo (...). Erano sotto Carlo V in Ragusa 3247 fuochi e nel censimento dell’anno 1595 computavasi 8939 abitatori; nella metà del seguente secolo nei regii libri 2475 case 8732 anime; (...) nell’anno 1713 2382 case 8863 abitatori cresciuti ultimamente a 12104 (...). Dista Ragusa 4 miglia da Modica per una via difficile (...) (1). 

   Alla nota (1) si riporta quanto segue. 
Sorge in mezzo di un acclive monte di aria mediocre per la seminagione del riso acquatico ed il macero di canape e lino in punti vicini all’abitato, l’acqua però ... vi è buona ed abbondante. Appellasi variamente la città dagli scrittori delle nostre epoche Ragusa (...), Racusa (...), Ragusia (...), Raghusa (...). Questa città nel nostro secolo ha ricevuto un progresso nella sua civiltà, di cui ci sono prova i molteplici edifizii primarii ch’elegantemente si sono stabiliti (...). A circa un metro dalla città verso occidente si osservano degli antichi sepolcreti con svariate tombe (...). La popolazione di Ragusa ascendeva nel 1798 a 16616 anime, cresciute a 21466 nel 1831, ed a 23501 nel fine del 1852. Stendesi il territorio in salme 23897,361 delle quali compartite per coltivazioni 16,432 in giardini, 61,021 in orti semplici, 0,508 in canneti, 367,234 in seminatorii irrigui, 4943,004 in seminatorii alberati, 14391,793 in seminatorii semplici, 3191,308 in pascoli, 268,451 in vigneti semplici, 31,734 in ficheti d’india, 7,411 in boscate, 6,926 in colture miste, 561,126 in terreni improduttivi, 50,413 in suoli di case (...).


   Una storia, quella della provincia del ragusano, che nel XX secolo ha avuto degli intrecci con gli sviluppi nazionali e per alcuni aspetti, anche con quelli internazionali. Dalla liberazione avviata con lo sbarco degli alleati nelle spiagge del litorale già dalla notte del 9 luglio 1943, all’incidenza sulle politiche regionali che hanno avuto come conseguenza la scoperta del petrolio nel proprio sottosuolo, avvenuta nel 1953. Ricompresa nella ricostruzione delle amministrazioni locali, che avvenne in Sicilia nei diciannove mesi che precedettero la liberazione del 25 aprile 1945, a cura dell’Allied military government of occupied territories, l’Amgot e, in seguito, dalle autorità italiane coadiuvate dai rappresentanti dei CLN locali e dai nuovi prefetti, che provvidero alla ricostruzione delle infrastrutture primarie distrutte dai bombardamenti e alla ripresa nei confronti della difficile situazione alimentare a favore della popolazione, da cui si rileva la drammaticità anche dal seguente vissuto: 
   Gli sbirri circondarono il gruppo delle più agitate. « Venite con noi » dissero per metterci paura. Allora io mi feci avanti [L’autrice Maria Occhipinti nda] « Lasciatele » gridai. « Sono madri di famiglia, anno i bambini a casa che le aspettano, arrestate me, sono io l’autrice di tutto, non loro, però prima che mi arrestiate voglio parlare col governatore ». A quel chiasso, il governatore si era appunto affacciato ad un balcone e noi ad una voce gridammo: « Pane, pane, vogliamo pane ». Gli sbirri mi dissero: « Seguiteci » ma con me vennero una decina di donne. « Arrestateci insieme » dicevamo. Qualcuna aveva il bimbo in braccio, altre si trascinavano per mano i ragazzini che facevano: « Ma’, ci ho fame ». Furono portate davanti al governatore. Era un tipo alto e biondo, con una specie di papalina rossa in testa. (...) Estrassi dal seno di una delle donne il libretto di lavoro. Era una famiglia numerosa con un figlio soldato in Russia e il resto tutti piccoli, a carico dei genitori. Vivevano col salario della miniera, settanta lire al giorno, mentre il pane andava a cento lire, di contrabbando. « Signor governatore, come può vivere una famiglia in queste condizioni? ». Esposi tutte le nostre miserie una per una, gli feci vedere i bimbi laceri e magri, dissi che mangiavano la crusca delle galline ed era poca, per giunta. « E se non mi crede, venga a visitare le case di questa gente, a constatare con i suoi occhi ». Di me poteva avere fiducia, non ero una fascista. Ero la donna che gli aveva buttato i fiori, quando erano entrati, quella aveva fatto alzare bandiera bianca, era una dei loro: « Negli uffici è pieno di fascisti, quegli stessi che ci dicevano di combattere, di buttarvi acqua bollente per non farvi entrare. Ora sono qui, come prima, e fanno gli amici con voi. Perché non avete mantenuto le promesse che leggemmo nei vostri manifestini? Perché agite come il Duce, tante parole e niente fatti? Non si può continuare così a deludere il popolo... ».
   Sino a giungere, dopo l’approvazione del dettato costituzionale a nuove e democratiche elezioni politiche – in cui fu autorizzato “per la prima volta” il diritto di voto alle donne – incidendo nella ripresa del cosiddetto «miracolo italiano», assurgendo alle cronache nazionali per le scoperta dell’«oro nero». L'istituzione della Diocesi, il 6 maggio 1950, fu, altresì, per Ragusa parte integrante di un lungo processo di definizione ed espansione della più generale identità della comunità iblea, scandito da eventi di grande rilievo. Un’esigenza da sempre sentita dalla popolazione, che vide il culmine nella definitiva separazione dalla Arcidiocesi di Siracusa, il 1° ottobre 1955.
   Nonostante ciò, in questi anni le attività lavorative svolte nel ragusano, da quelle agricole, a quelle commerciali, a quelle edili, a quelle industriali subirono – nell’arco del ventennio successivo – una naturale flessione dovuta a una “bolla” utopistica venutasi a creare a seguito della scoperta del giacimento petrolifero nel proprio sottosuolo. Di fatto, questa scoperta fece spostare la manodopera dal settore agricolo verso il settore industriale, nella speranza di occupazione, maggiormente per quanto riguardò le maestranze non professionalizzate e bracciantili, che, però, come vedremo, non ebbe il seguito auspicato.
   Una sopravvalutazione che non ebbe quel riscontro richiesto, poiché gli operai e gli impiegati assunti dalle principali industrie locali furono a breve licenziati per aver terminato l’incarico: le trivellazioni, con tutte le apparecchiature da manovrare, nonché le strade da asfaltare per raggiungerle, una volta terminate, non poterono occupare ulteriormente i lavoratori assunti dalla impresa statunitense che ebbe la concessione. Lo stesso accadde per chi volle investire sull’acquisto di autocisterne per il trasporto del greggio alla raffineria di Priolo, che terminarono il loro spostamento con la realizzazione dell’oleodotto Ragusa-Augusta, con buona pace per la strada verso Marina di Ragusa, di cui tutti si lamentarono per le numerose buche create dal continuo passaggio dei camion, per il trasporto del greggio con le autobotti.
   In questo periodo, nel percorrere “la via dell’entusiasmo” generato dal passaparola, col tempo aumentarono le iscrizioni all’ufficio di collocamento di Ragusa, fermo restando che, anche in quel periodo, le assunzioni avvennero, ugualmente, in altri modi: conoscenze, raccomandazioni, assunzioni dirette, continuazione dell’attività paterna, furono gli esempi più ricorrenti.
   Gli anni Cinquanta furono “centrali” per una maggiore incidenza sullo sviluppo economico nel territorio provinciale; un accrescimento che, però, non si alimentò da energie interne, ma che prese avvio da influenze provenienti dall’esterno. Accadde maggiormente un trasferimento del reddito dal settore della lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli a quello delle nuove presenze industriali, con un certo aumento del flusso finanziario. Anni di forti speranze dunque, che, però, non diedero il risultato desiderato, alimentando i sogni di una generazione che, purtroppo, non ebbe l’ambita ricompensa e che, in parte, dovette riempire “quella valigia di cartone riposta sopra l’armadio”.
   Si andò verso la fine di un‘era dell’uomo – durata secoli – in cui la perdita di determinate tradizioni, prodotto dell’avvento della industrializzazione (oggi si dirà della globalizzazione), spinse le nuove generazioni al di fuori dei confini, per intraprendere nuovi contatti con altre comunità. Un sacrificio che fu necessario per aprire le porte al progresso.
   Già nel 1953, infatti, il ritrovamento del giacimento petrolifero nell’area ragusana diede l’accensione a quella “miccia” collegata all’amplificazione delle conversazioni locali, allo sviluppo socio-culturale nei rapporti della collettività e soprattutto, nei confronti dell’esterno, con altri ambienti “nuovi”, che apportarono elementi di dinamicità, riferiti anche alle attività commerciali e imprenditoriali sul territorio.
“... un periodo di fervide speranze sembrò aprirsi per la città nel 1953, quando in contrada Pendente la sonda della ‘Gulf Oil of New Jersy’ toccò, a 1890 metri di profondità, il petrolio”. Le aspettative furono immense, esagerate, se si pensa che in gran parte il petrolio ragusano viene esportato negli anni ‘60 in Olanda, Francia, Svezia e Belgio. Forse oggi possiamo dire che è una fortuna che non si siano realizzati i sogni di megalomania industriale dei ragusani, che avrebbero potuto portare ad un disastro ecologico ancora maggiore di quello di Gela, con scarsi benefici per l’occupazione e l’incremento industriale. “Tuttavia a Ragusa il reperimento del petrolio ha permesso, proprio in un momento di crisi dell’industria asfaltica, di promuovere la conversione degli impianti in complesso petrolchimico ...”.
   Ragusa, comunque, rimase un territorio a prevalenza agricola, con il 96% del territorio produttivo: gli ortaggi ebbero un incremento di produzione, a scapito dei cereali e dei legumi, diranno gli studi statistici svolti agli inizi degli anni Cinquanta. Nello stesso tempo, però, il 1953 fu indicato dai ragusani come «l'anno in cui scoppiò la bomba del petrolio»: un ritrovamento che fece conoscere maggiormente Ragusa al resto degli italiani, con echi anche negli Stati Uniti. Da questo periodo, infatti, la propensione al consumo si poté rappresentare con indici superiori alla norma, persino in rapporto al confronto insulare e continentale, evidenziando una maggiore voglia di cambiare gli stili di vita, cui i ragusani furono abituati dai loro padri.
   Ciò nonostante, il modo di dire più ricorrente fu: «Il petrolio ha rincarato i prezzi»; uno svantaggio superiore all’attuale scoperta dello stesso grezzo, smentito – come ci consegnarono gli studi sui settori – dal fatto che in tutta Italia, in questo periodo, ci fu un aumento generale del costo della vita.
   Un’altra realtà che si evidenziò alla vigilia della concessione alla Gulf Italia per poter eseguire i sondaggi, fu la reale preoccupazione degli agricoltori coinvolti all’interno del perimetro degli ettari di terra concessi, di vedersi perforare il terreno agricolo e trovarsi impossibilitati a svolgere la coltivazione avviata, soprattutto, per l’intervento della troupe di operai e tecnici con i loro automezzi e con le attrezzature necessarie ad avviare le attività di scavo perlustrativo. Numerosi furono i terreni nell’area del comune di Chiaramonte Gulfi che subirono questa sorte, dove per la maggior parte si trovarono distese di uliveti; come pure nell’area ragusana, dove in caso di coltivazione di ortaggi avrebbe interrotto, sicuramente, l’attività. Il “dramma” si poté celebrare, comunque, nel caso di rinvenimento del prezioso minerale, che diede conferma al disposto dell’articolo 840 del codice civile, riguardo alla proprietà del sottosuolo di giacimenti minerari, in capo allo Stato.
   Gli anni Cinquanta iniziarono a segnare nel ragusano, quindi, una linea quasi di confine con gli stili di vita dei periodi precedenti, in una popolazione che da un’analisi più approfondita, dopo gli eventi della Seconda guerra mondiale, si rappresentò – nel censimento del 1951 – con un grado d’istruzione, così suddiviso: al 22,36% gli analfabeti, al 20,75% gli alfabeti privi di un titolo di studio; i diplomati furono al 47,56% con la scuola elementare, al 4,39% scuola media, 1,05% liceo classico o scientifico, 1,31% magistrale, 1,18% tecnica, professionale e artistica; mentre solo l’1,37% i laureati. Si mostrò, dunque, un grado di analfabetismo di poco inferiore alla media del Mezzogiorno che si attestò al 24%.
   È utile indicare che dal dopoguerra emerse la necessità di costruire nuovi istituti scolastici, anche a Ragusa, poiché con le sue trentadue scuole, distribuite nel territorio comunale, non riuscì a contenere i nuovi alunni iscritti. Uno scarso interesse, purtroppo, si rilevò da parte dell’Amministrazione della pubblica istruzione, a voler istituire una scuola professionale di tipo industriale, come pure le scuole a indirizzo tecnico, di cui l’istituto “Fabio Besta” fondato solo nel 1946. Inoltre, un problema avvertito dalla dirigenza scolastica locale, che, nonostante la struttura dell’economia fosse basata sull’attività agricola nel territorio, non fu posta in programma alcuna scuola agraria.
   Ciò risulta maggiormente grave se si considera che le colture agricole del Ragusano (soprattutto orticole e viticole) richiedono una specifica qualificazione che, secondo calcoli eseguiti dalla Cassa del Mezzogiorno, interessa il 55,6% della manodopera localmente impiegata nel settore agricolo.
   Per quanto riguardò l’artigianato locale, 139 artigiani operarono in forma di società, ma, comunque, fu favorito il lavoro a carattere individuale. In maggior numero furono i falegnami, seguiti dai calzolai e ancora dai barbieri, i quali soffrirono la numerosa concorrenza, come pure i calzolai; ci furono a seguire i sarti che in linea di massima praticarono questi prezzi: per la realizzazione di un vestito da uomo 6.000 lire, mentre per un abito da donna si variò dalle 3.000 alle 6.000 lire. A ciò si aggiunse l’artigianato del ricamo, praticato dalle donne in ambito familiare: un’autentica tradizione ragusana, quella dello sfilato cosiddetto «‘400, del ‘500 e del ‘700». Le paghe di queste professioniste si aggirarono intorno alle 300-400 lire al giorno. La Pontifica opera di assistenza prese a cura le giovani donne ragusane, organizzando, tra l’altro, dei corsi di perfezionamento in cui insegnò in quell’epoca anche la signora Emanuela Tumino, una abile ricamatrice che proseguì la professione specializzandosi nei ricami degli abiti da sposa, che realizzò per prestigiose case di moda, fino a giungere direttamente a Roma, dove si stabilì per eseguire le creazioni.
   Per quanto riguardò i commercianti locali, furono in pochi i grossisti, mentre il maggior numero dei dettaglianti rivolse le richieste di merci anche fuori dalla zona, per l’assenza dei prodotti in loco. La maggior parte degli esercizi pubblici riguardò le rivendite di generi alimentari, più conosciuta come ’a putía, un locale frequentato dal vicinato, in cui tutti si conobbero e che diede molta apertura al pagamento rateizzato, assai utile per tenere sotto controllo i bilanci familiari; già dal 1955 aprì, però, un grande emporio che diede lavoro a un centinaio di commesse. La vendita a rate, attraverso le cambiali, permise a numerose famiglie di avvicinarsi ai nuovi elettrodomestici, che, come sappiamo, negli anni del dopoguerra iniziarono a invadere le case di tutti.


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