Pagine

13 giugno 2009

Colomba Antonietti: eroina per amore


Nella passeggiata del Gianicolo, tra i tanti busti dei patrioti che diedero la vita per costruire l’Unità d’Italia, è possibile notarne uno con la dicitura “Porzi Antonietti Colomba”.
   Colomba Antonietti nacque a Bastia Umbra il 19 ottobre 1826, ma sin da giovane visse a Foligno assieme al fratello e alla sorella, dove il papà Michele, panettiere, con la mamma Diana Trabalza, dopo due mesi dalla sua nascita vi si trasferirono per svolgere l’attività in un forno preso in affitto. La sua vita breve, si affacciò in un momento travagliato della nostra Penisola, in cui una serie di tumulti iniziati con i moti degli anni Venti, minarono l’Ancien régime reintrodotto in Europa dal Congresso di Vienna, del 1814.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/ce/23-Porzi-Antonietti.jpg/369px-23-Porzi-Antonietti.jpg   In Foligno, durante la sua adolescenza, svolgeva servizio un giovane cadetto delle guardie pontificie, nella caserma vicino al forno di mastro Michele. Quando questo giovane andava in libera uscita, spesso si fermava a guardare attraverso i vetri della finestra, la giovane Colomba e col tempo il conte Luigi Porzi, originario di Imola, finì per innamorarsi della bella ragazza, non tenendo conto delle sue umili origini. A questo continuo interessamento però, la famiglia Antonietti, vista la diversità di ceto, si adoperò per fare trasferire il giovane aristocratico in un battaglione di stanza in Senigallia.
   Dolcissima ragazza dagli occhi e capelli neri “Bina”, assieme a “Gigi”, come affettuosamente si chiamavano tra loro, nonostante il diniego delle rispettive famiglie, si vollero in ogni caso sposare, e in segreto, la notte del 13 dicembre 1846 nella chiesa della Misericordia di Foligno. Dopo la fugace cerimonia, la coppia proseguì verso Bologna per andare a trovare la mamma di Luigi e trascorso un breve soggiorno rientrò direttamente a Roma, dove il giovane ufficiale fu assegnato. Come prevedeva il regolamento allora vigente, il giovane tenente doveva essere autorizzato dalle autorità militari per poter contrarre il matrimonio e siccome tutto avvenne in segreto, questi fu punito con gli arresti, da scontarsi nella “fortezza” così come era denominato Castel Sant’Angelo. Gli fu dimezzata la paga per tre mesi e solo grazie all’intervento di uno zio, autorevole prelato all’interno del Vaticano, ebbe autorizzata nuovamente la paga intera, ma dovette restare ancora agli arresti. Nonostante la punizione, dall’alba al tramonto fu concessa la visita parenti al punito, rendendola quantomeno più sopportabile.
    In quel periodo l’Antonietti fu ospite dai parenti della mamma in Trastevere e grazie all’ingerenza di Luigi Nasi, suo cugino, che fu segretario di Luciano Bonaparte principe di Canino, ottenne la libertà del marito.
   A Roma, in quegli anni, in cui il “papa-re” non vagheggiò gli accrescimenti rivoluzionari in fermento, radicato com’era nei principi dell’Ancien régime, la giovane visse momenti inebrianti, legati al nuovo ambiente cui fu introdotta dal cugino, che la portarono a seguire con vero entusiasmo gli sviluppi della politica, affascinata com’era dai principi di libertà e di democrazia, tanto invocati. Del resto, l’amministrazione dello Stato era in mano al clero e non era immaginabile una laicizzazione del potere, ma già nel Nord della Penisola correnti di opinione manifestavano interesse per un’economia più liberista, con un occhio rivolto alla rivoluzione industriale avvenuta in Inghilterra.
    Al soglio di Pietro, il 16 giugno 1846, al quarto scrutinio, con 36 voti, su cinquanta cardinali presenti al Conclave, fu eletto sommo pontefice Giovanni Maria Mastai Ferretti, a soli 54 anni, assumendo il nome di Pio IX, successore di Gregorio XVI [Bartolomeo Cappellari], che morì il 1° giugno. Dall'agosto 1846, egli fu artefice di grandi riforme nello Stato Pontificio: dal Ministero liberale, alla libertà di stampa e agli ebrei, alla costituzione della Guardia civica e allo sviluppo delle linee ferroviarie, l’istituzione del Municipio di Roma, fino al 14 marzo 1848, in cui emise lo Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa, che istituì due Camere ed il Sacro collegio dei cardinali presieduto dal papa. Durante le gloriose “Cinque giornate di Milano”, 18−22 marzo 1848, la popolazione cacciò le forze militari austriache e con l'Allocuzione del 29 aprile contro la guerra all'Austria, ebbe inizio, però, il declino della stella politica del Mastai e incominciò la sua lunga via crucis. Tra il 1845 e il 1849 si consumò, di fatto, la definitiva crisi del potere temporale della Chiesa in Europa; si risentì di un clima politico e amministrativo sempre meno favorevole all’introduzione di mutamenti nella vita economica e produttiva dello Stato Vaticano. Al timore delle novità provenienti dall’esterno e alla scarsa fiducia, nutrita di sospetto, verso i principi del liberismo, si unirono gli effetti negativi di una frattura, ormai insanabile e apertasi con i settori più avanzati delle borghesie provinciali, che furono mortificate nelle loro aspirazioni di progresso economico, da una politica caratterizzata dal disinteresse per le esigenze dell’impresa e del commercio.
    Allo scoppio della prima Guerra d’Indipendenza nel Marzo del 1848, il tenente Porzi fu inviato al Nord con le truppe volontarie comandate dal generale Giovanni Durando. In quell’occasione, Colomba Antonietti non ebbe nessuna titubanza a tagliarsi i bellissimi capelli neri e seguire il marito indossando l’uniforme di volontario pontificio, per lottare in Lombardia e in Veneto a fianco delle truppe pontificie, soprattutto nella battaglia di Vicenza del 24 maggio, che fu combattuta nonostante l’Allocuzione di Pio IX, la quale indicava tra l’altro:
Ai nostri soldati mandati al confine pontificio raccomandammo soltanto di difendere l'integrità e la sicurezza dello Stato della Chiesa. Ma se a quel punto, alcuni desideravano che noi assieme con altri popoli e principi d'Italia prendessimo parte alla guerra contro gli Austriaci... ciò è lontano dalle Nostre intenzioni e consigli.
   Dopo l’armistizio del 9 agosto 1848, firmato dal conte Carlo Canera di Salasco, tenente generale, Capo di stato maggiore generale dell'Esercito sardo, le truppe della Legione “Lombardia” del generale Durando si sciolsero; il tenente Luigi Porzi e il “volontario” Colomba Antonietti aderirono alle fila dell’esercito sardo-piemontese e furono inquadrati nel VI Battaglione bersaglieri che, dalla Liguria dove si trovò, partì alla volta di Roma al comando del colonnello dei bersaglieri lombardi Luciano Manara, per contribuire alla sua difesa.
    Il 9 febbraio 1849 fu proclamata la seconda Repubblica Romana, la quale prevedeva all'articolo 3 del decreto costitutivo: la forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura. Il 28 aprile i triumviri Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi, inviarono al comandante francese generale Nicolas Charles Victor Oudinot un accorato appello:
Au nom de Dieu, au nom de la France et de l’Italie, Général, suspendez vous marche. Évitez une guerre contre entre frère. Que l’histoire dise pas : la république française a fait, sans cause, se première guerre contre la république italienne ! Vous avez été, évidemment, trompé sur l’état de notre pays ; ayez le courage de le dire à votre Gouvernement et attendez-en de nouvelles instructions. Nous sommes décidés de repousser la force pour la force. Et ce n’est pas sur nous que retombera la responsabilité de ce grand maiheur[1].
   A quell’epoca l’Antonietti si trovò a Roma e si occupò dell’assistenza ospedaliera ai feriti, insieme a molte altre donne che assunsero questo ruolo nei vari ospedali e conventi della città. L’irruenza giovanile impedì, di fatto, a Colomba Antonietti, di rifiutarsi di partecipare alle nuove manovre militari, che si svolsero nei paesi intorno a Roma e con i capelli neri tagliati corti e l’uniforme datale dal marito, fu assegnata al 2° Reggimento fanteria, combattendo fianco a fianco al marito, agli ordini del generale Garibaldi, nella battaglia di Velletri del 18 e 19 maggio, contro le truppe borboniche.
   Dal testo Lo assedio di Roma di Francesco Domenico Guerrazzi, è possibile rievocare quest’evento:
Aperte le brecce ferve l'opera per metterci riparo; un vero turbine [di] ferro e [di] fuoco mulinava su l'area avversa alle breccie francesi, ed una moltitudine [di] cannonate la solcava per seminarvi pur troppo la [morte]; tu vedevi i Romani brulicare come formiche portando sacca, sassi, e trainando carretti [di] terra, né i romani soli, bensì ancora le Romane, e fra queste [Colomba] Antonietti, che non potendo lasciare solo il marito esposto al pericolo volle ad ogni costo parteciparlo ed in cotesta vita ella aveva durato due anni, che lo sposo suo accompagnò in tutte le guerre d'Italia, e a Velletri fu vista, precorrendo, incorare i soldati: in quel giorno la supplicarono [di] là si rimovesse, ed ella sorridendo, "ma se ci lascio il marito morirei [di] affanno".
   Dopo questa battaglia l’Antonietti non andò più sul campo e fu assegnata alla difesa delle mura, situazione questa non meno rischiosa.
    Nel diario scritto principalmente per rievocare le gesta di Garibaldi, intitolato Memorie romane, dell’olandese Jan Hendrik, volontario, anche lui insieme al fratello, nelle truppe della Repubblica Romana, si trova un passo inteso come testimonianza del tenente Luigi Porzi, che ci permette di riportare alla luce gli ultimi momenti di vita della donna che s’immolò nella battaglia che si svolse tra la Villa Giraud, detta il “Vascello” e Villa Corsini detta il “Casino dei Quattro Venti” nel colle del Gianicolo, per porre le fondamenta all’unificazione d’Italia:
Colomba Antonietti Porzi mi seguì tutta la campagna del ‘48, vestita da Ufficiale con un mio uniforme cortandosi i capelli. Sempre me diceva che desiderava vedere libera la cara e bella Italia. Dividendo junto le fatiche e i pericoli, le lunghe marce e il fuoco nemico. Pugnò come uomo nella campagna di Velletri, che la sposa di Garibaldi restò sorprendida nel vedere battersi con tanto coraggio. La mattina del giorno 13 giugno fui la primiera brecia che l’esercito Francese fece in Roma. Alle ore 9 della matina le muraglie non esistevano più. Alle ore 5 pomeridiane fui io e Colomba, con pochi soldati, per fare una baricata con delle sache piene di terra, al momento che mi o presentato a petto discoperto, l’esercito Francese cominciò con le due baterie, facendo un fuoco incessante e io con Colomba asangue fria facendo la baricata. Dopo vene una palla di canone del calibro del 36 che l’infelice Colomba mentre mi porgeva le sacche per riparare la breccia, fu colpita al fianco drito con grave frattura del bacino e del femore e spirò nelle mie braccia.
   Dallo stesso Giuseppe Garibaldi possiamo leggere la descrizione del tragico evento, tratta dal manoscritto Vita e memorie di Giuseppe Garibaldi, scritte da Lui medesimo e pubblicate da Alessandro Dumas. Con introduzione di Giorgio Sand, edito nel 1860:
Ma un’altra cosa era accaduta, anche più drammatica della morte di Vecchi qualora fosse stata vera. La stessa palla che lo aveva sotterrato aveva poi battuto nella muraglia, e risaltando all’indietro aveva rotto i reni a un giovane soldato; il giovane soldato posto sopra una lettiga, aveva incrociate le mani sul petto, levati gli occhi al cielo, e reso l’estremo fiato.
   Nel momento che stavano per portarlo all’ambulanza, un ufficiale si era precipitato sul cadavere e lo aveva coperto di baci.
   Quell’uffiziale era Parzio, il giovane soldato era Colomba Antonietti sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri, ed aveva combattuto al suo fianco il 3 di Giugno.
   Il giorno successivo furono celebrati i funerali dei caduti garibaldini, ai quali partecipò anche “Ciceruacchio”, al secolo Angelo Brunetti. La salma della bella Colomba Antonietti fu sepolta nella chiesa di San Carlo dei Catenari; successivamente nel 1941 le sue spoglie furono traslate presso il Mausoleo ossario garibaldino del Gianicolo, che accoglie i caduti nelle battaglie per Roma Capitale. Morì dando il suo contributo a scrivere una pagina della storia d'Italia: quella legata al Risorgimento.
    Da alcune pagine di Roma e i suoi martiri. Notizie storiche di Felice Venosta, la ricostruzione della cerimonia funebre:
Parecchi soldati caddero in quella morti ai suoi piedi, né per le nuove istanze fattele volle ritrarsi; vi fu un istante in cui ella fè’ un passo verso il marito per porgergli degli strumenti che aveva addimandati, e una palla di cannone la percosse mentre adempiva quell’atto di amore coniugale. Colomba cadde inginocchiata, levò le mani e gli occhi al cielo, e spirò dopo un minuto gridando Viva l’Italia. I suoi leggiadri lineamenti si copersero del pallore della morte; ma il sorriso non si scompagnò dalle sue labbra, che anco in quell’eterno silenzio parevano esprimere l’amore e la fede che collegata l’avevano in vita alla famiglia e alla patria. Un lungo grido di commiserazione s’innalzò dai circostanti; l’uomo che unito aveva le sue sorti a quelle di lei fu trascinato lontano in preda alla più terribile disperazione. Le care spoglie dell’infelice, poste su di un cataletto, coperte di bianche rose, simbolo del candore di lei spenta così crudelmente nel fiore della giovinezza, furono portate per le vie di Roma, spettacolo di compianto universale. Deposta nella chiesa la bara, la moltitudine si genuflesse piangendo, e orò da Dio pace a una delle più pure anime che mai vestito avessero quaggiù una spoglia mortale.
   Da una lettera di Garibaldi ad Anita in data 21 giugno 1849, ripresa da Ermanno Loevinson in Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato romano 1848-49, fu così descritta la battaglia del Gianicolo:
Io so che sei stata e sei forse ancora ammalata. Voglio veder dunque la tua firma e quella di mia madre per tranquillizzarmi.
   I gallo-frati del cardinale Oudinot si contentano di darci delle cannonate, e noi quasi, per perenne consuetudine, non ne facciamo caso. Qui le donne e i ragazzi corrono addietro alle palle e bombe, gareggiandone il possesso.
   Noi combattiamo sul Gianicolo, e questo popolo è degno della passata grandezza. Qui si vive, si muore, si sopportano le amputazioni al grido di «Viva la Repubblica!». Un’ora della nostra vita in Roma vale un secolo di vita! Felice mia madre d’avermi partorito in un’epoca così bella per l’Italia.
   Il sopravvissuto Luigi Porzi dopo questo tragico evento e a seguito della caduta della Repubblica Romana andò a vivere in America Latina, in Uruguay e nonostante pensò di rientrare in Italia appena avuta la notizia dell’Unità, fu vittima di un naufragio durante la traversata transoceanica, riuscendo miracolosamente a salvarsi.
   La perdita dei propri capitali dovuti al fallimento della Banca Argentina, non gli permise più di rientrare nel suolo natio, spegnendosi a Montevideo il 9 gennaio 1900.




____________________
[1] In nome di Dio, in nome della Francia e dell’Italia, Generale, sospendete la vostra marcia. Evitate una guerra contro altri fratelli. Che la storia non dica: la repubblica francese ha fatto, senza motivo, la sua prima guerra contro la repubblica italiana! Voi siete stato, evidentemente, ingannato sullo stato del nostro paese; abbiate il coraggio di dirlo al vostro Governo e attendetene le nuove istruzioni. Noi siamo decisi a respingere la forza con la forza. E non sarà su di noi che ricadrà la responsabilità di queste grandi sciagure.

Licenza Creative Commons
Colomba Antonietti: eroina per amore di G. La Rosa distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.