Pagine

20 luglio 2016

Nella Prima guerra mondiale i militi della Croce rossa: Inter arma caritas

A 150 anni dalla costituzione il collocamento in congedo


Da un’idea di metà Ottocento nata da Henry Dunant sui campi di battaglia nel suolo italiano, di inviare un corpo di infermieri volontari in ausilio agli eserciti in guerra, da cui la frase Tutti fratelli, la “Società ginevrina di utilità pubblica” diede l’incarico al generale Guillaume-Henri Dufour – l’Helvetiorum Dux – di presiedere un comitato le cui finalità fossero di realizzare, in tempo di pace, una struttura formata da volontari zelanti, vocati e bene qualificati per il soccorso dei feriti in guerra. Questi, insieme con Gustave Moynier, Henry Dunant, Louis Appia e Theodore Maunoir promossero nel corso del 1863 i lavori permanenti per giungere al 26 ottobre, in cui fu inaugurato il “Congresso internazionale di soccorso ai militari feriti”, che alle valutazioni dei Plenipotenziari, tranne la Russia che ammise delle riserve e l’Austria e la Sassonia che si rifiutarono, come pure il governo romano di Pio IX, portò alla fondazione della Croce rossa il 22 agosto 1864. 
   In Italia al termine della II Guerra d’indipendenza del 1859, sulla scia di un movimento d’opinione si prese sempre di più coscienza della gravità, anche a seguito delle notizie riportate dai giornalisti, della necessità improcrastinabile di stabilire il carattere di neutralità del soldato ferito sul campo, da farsi riconoscere a livello internazionale. Cercò di approfondirne il tema anche il professor Ferdinando Palasciano, conoscitore dell’argomento poiché medico dell’esercito borbonico, completando che il soldato ferito dovesse essere curato e assistito indipendentemente dalla parte belligerante; un atto che le nazioni in guerra avrebbero dovuto sottoscrivere, tenendo in considerazione, altresì, il personale addetto alle cure dei feriti.
   In questo clima, fu il medico Cesare Castiglioni già presidente del Comitato milanese della “Associazione medica italiana” a raccogliere le iniziative in atto in quell’epoca sulla questione filantropica e il 15 giugno 1864 fondò insieme a sessantuno soci la Associazione italiana di soccorso pei militari feriti e malati in tempo di guerra, dando la sede al Comitato centrale provvisorio e centro transpadano in Milano. Tra i soci furono menzionati Carlo Cattaneo e il generale Giovanni Durando; un atteggiamento di amore nei confronti dell’umanità accecata dall’odio, che re Vittorio Emanuele II plaudì, accettando la nomina di socio “protettore” e al principe Umberto fu conferita la nomina di presidente onorario. Seguì nel maggio 1866 la costituzione del Comitato di Firenze, centro cispadano, divenuta capitale del regno nel 1865.
   Nel regolamento che adottò l’Associazione, si costituirono quattro Sezioni e s’indicò, tra l’altro, nei compiti della IV Sezione, sotto la presidenza di Antonio Trezzi, ci fossero:
In tempo di guerra, previa intelligenza coll’Autorità militare formerà delle ambulanze vicino al teatro di guerra, ed aiuterà l’autorità stessa nella formazione e nel disimpegno delle proprie; fornirà, secondo i propri mezzi, medici, chirurghi, sacerdoti, infermieri; questo personale si presterà pel trasporto dei feriti fuori del campo di battaglia[1].
   Su iniziativa del presidente Castiglioni, il 21 marzo 1866 fu scritta una lettera al presidente della IV Sezione, in cui sentendo la necessità di una via d’azione, incitò il dottor Trezzi a far conoscere l’organizzazione della Sezione in occasione di possibili manovre militari. Il 2 maggio fu presentato dalla Sezione un rapporto informativo sui modi d’intervento utile ai feriti in guerra.
   Nello specifico, furono indicati tre modi d’azione dell’Associazione in sussidio delle ambulanze militari:
1. Coll’organizzare ambulanze leggieri che, seguendo il retroguardo dell’armata, raccogliessero sul campo lasciato libero i feriti o i malati rimasti, o per difetto di mezzi sufficienti al bisogno, o per rapidi movimenti delle truppe, onde procurar loro opportunamente ricovero ed assistenza.
2. Coll’organizzare squadriglie di medici-chirurghi e di infermieri da mandare in sussidio delle Ambulanze militari, e pel servizio degli ospedali provvisorii di campo fino all’evacuazione dei feriti o malati negli ospedali, quando richiesti.
3. Coll’apparecchiare il materiale d’ogni fatta, che potesse tornare di giovamento, in particolarità quello necessario per l’allestimento di ospedali da campo, e gli oggetti di medicazione da spedirsi ove abbisognassero
[2].
   Il riassunto del rapporto concentrato nei punti salienti fu presentato all’adunanza generale del Comitato centrale milanese il 15 maggio, che adottò l’organizzazione delle squadre in sussidio delle ambulanze militari, oltre alla predisposizione dei materiali necessari agli ospedali.
   Il dottor Trezzi si fece carico di notificare le adozioni dell’adunanza e con la circolare n. 190 del 21 maggio 1866 la IV Sezione comunicò ai vari Comitati sul territorio le iniziative intraprese dal Comitato centrale, cercando di trasmettere l’esaltazione e la necessità di riunire l’operato per un proficuo successo. Nelle concitazioni del momento, inoltre, con la nota n. 229 dell’1 giugno 1866 del presidente Castiglioni all’aiutante generale del regio esercito mobilizzato, il luogotenente generale Agostino Petitti Bagliani, furono offerti i servigi del Corpo dei volontari: costituito in quattro squadriglie mobili per il soccorso, composte da ufficiali sanitari e infermieri, in sussidio alle ambulanze militari.
   Di fatto, la formalizzazione delle indicazioni regolamentarie della IV Sezione dell’Associazione si ebbe con la circolare n. 2146 datata 1° giugno 1866 del Ministero della guerra, in cui furono ammesse le squadre permanenti, composte da ufficiali sanitari e da infermieri, da applicarsi alle ambulanze di riserva del Quartier generale di ciascun Corpo d’armata, con i compiti assegnati:
1. Di allestire il materiale d’adunanza per le Squadre borghesi disposte dal Comitato;
2. Di scegliere, e proporre alla Presidenza del Comitato il personale superiore, e gli infermieri destinati alle Squadre;
3. Organizzare le Squadre, e provvedere al loro equipaggiamento ;
4. Organizzare, e dirigere il servizio di assistenza, e trasporto dei feriti a loro arrivo alla Stazione della Ferrovia;
5. Sorvegliare la preparazione e l’ordinamento del materiale di medicazione, e per gli Ospedali, raccolto dalla Sezione I;
6. Attendere alla erogazione di quel materiale per uso delle Squadre, della Regia Intendenza Militare, del Corpo dei Volontari, degli Ospedali
[3].
   La circolare ministeriale fu convalidata dal regio decreto 2 luglio 1866, che diede, pertanto, l’autorizzazione al “battesimo del fuoco” delle squadriglie di soccorso volontarie, agli ordini e alla disciplina militare come il personale sanitario militare, ponendo alle dipendenze del 1° Corpo d’armata del luogotenente generale Giovanni Durando due squadriglie, e una squadriglia allestita dai fiorentini fu assegnata al 5° Corpo d’armata al comando del luogotenente generale Raffaele Cadorna, mantenendo una squadriglia in attesa di chiamata, ma che, comunque, al 19 agosto furono tutte di ritorno.
   In ordine a ciò – nell’ambito della III Guerra d’indipendenza – indicata in ambito europeo come il «fronte meridionale della Guerra austro-prusso-italiana», il personale delle squadriglie di soccorso delle ambulanze del Corpo dei volontari fu autorizzato a munirsi di un bracciale di tessuto bianco forgiato da una croce rossa su fondo bianco, simbolo di neutralità stabilito nella convenzione di Ginevra dell’agosto 1864, nonché a indossare una propria divisa, proposta dal Comitato milanese e approvata dal Ministero della guerra con nota n. 1623 del 20 giugno 1866.
Una Squadra risultò così formata:
Un ufficiale sanitario capo-squadra,
Due ufficiali sanitari aggiunti,
Un probo uomo, gratuito, ufficiale amministratore,
Dieci infermieri, de’ quali uno capo
[4].
   Del resto, in quel giugno 1866 furono i volontari a essere al centro dell’operazione bellica, infatti, grazie ai 40.000 circa di un altro Corpo di volontari agli ordini del maggior generale Garibaldi, ribattezzati “Cacciatori delle Alpi” si ebbe l’onore della vittoria contro gli austriaci nella battaglia di Bezzecca del 21 luglio, ponendo fine alla «questione veneta».
Salò, lì 25 giugno 1866
Cari Amici,
In questi momenti la opera vostra riuscì utile, ed il paese ve ne deve esser grato. la città di Milano è sempre iniziatrice di fatti generosi. Lo zelo e le energie che avete impiegate nel provvedere per mezzo del dottor Albanese la nostra Ambulanza, vi meritano lode e riconoscenza.
Credetemi con stima ed affetto
Vostro sempre
Giuseppe Garibaldi
[5].
   L’ambulanza militare, come intesa all’epoca, fu un’organizzazione mobile alla quale l’Associazione, ai sensi della circolare ministeriale del 1° giugno, intese non dare vita a proprie squadriglie di soccorso autonome, bensì che esse dovessero collaborare aumentando la operatività delle ambulanze militari alle quali furono aggregate alle sorti, ecco, pertanto, che gli ufficiali sanitari e gli infermieri goderono degli stessi diritti e furono soggetti agli stessi doveri dei medici e degli infermieri del Servizio sanitario del regio esercito.
La Circolare ministeriale confermò pienamente questo concetto, ove dice: «Esse Squadre, vestite, equipaggiate, pagate e mantenute per cura ed a spese dei Comitati organizzatori, saranno di applicati alle Ambulanze di riserva del quartiere generale di ciascun Corpo d’Esercito, o ad un’Ambulanza divisionale, delle quali si intenderanno far parte integrante, per tutto che riguarda il servizio»[6]. 
    A seguito della “breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870 e dopo l’emanazione della legge del 3 febbraio 1871, n. 33 in cui fu deciso il trasferimento del governo nella nuova capitale del regno dopo Firenze, il 9 giugno 1872 lo storico Comitato milanese deliberò di trasferire la sede del Comitato centrale a Roma, confermando la prima riunione al 31 maggio 1874.
   La necessità di avere contatti diretti col Ministero della guerra e con la politica nazionale portò, di fatto, a una “statalizzazione” dell’Associazione, che con lo spostamento da Milano cercò di percorrere i tempi e, quasi, di voler chiudere una delle tante fasi a cui sarà soggetta. L’occasione della sede centrale in Roma, portò anche alla nuova denominazione ufficiale che assunse, di Associazione italiana della Croce rossa, mantenuta fino al 31 dicembre 2015.
   Con la legge 21 maggio 1882, n. 768 l’Associazione fu eretta in corpo morale, assoggettata «all’unica tutela e sorveglianza dei Ministri della guerra e della marina». Col regio decreto 7 febbraio 1884, n. 1243, poi, fu accordato «l’uso delle poste, dei telegrafi e delle ferrovie dello Stato, come facente parte dell’esercito».
   La mancanza di una previsione di squadre di soccorritori volontari nella millenaria concezione degli eserciti presenti nelle varie nazioni, mal si addisse all’applicazione della normativa così come emanata, creando sin da allora una vacatio legis che si dovette colmare sul campo con l’azione e l’umiltà di migliaia di volontari della Croce rossa sottoposti allo status militare.
   Il 23 maggio 1915, l’ambasciatore d’Italia Giuseppe Avarna consegnò al ministro degli Esteri austriaco barone Stefano Burian la dichiarazione di guerra e l’Italia entrò in guerra a favore della “Triplice intesa”, ma non tutti furono d’accordo, al punto che si crearono due forti correnti: quella degli interventisti formata maggiormente da liberali e da coloro che gettarono il cuore al Risorgimento, considerando questa occasione un'ulteriore guerra per l'indipendenza dall’Austria e quella dei neutralisti che videro a capofila i socialisti e i cattolici. L’Associazione fu pronta a schierare i suoi uomini assieme alle dame infermiere volontarie alle dipendenze del Comando supremo, avendo, comunque, già dal 1914 dato inizio ai preparativi dei materiali per gli ospedali e dei mezzi, nonché all’addestramento del personale di assistenza. Furono mobilitati 3.837 ufficiali e 16.100 militi del personale di assistenza nell'intera durata del conflitto, al fianco del Servizio di sanità militare, sulla base del regio decreto 23 maggio 1915, n. 719 (modificato con decreto luogotenenziale 25 luglio 1915, n. 1162), relativo alla militarizzazione del personale della Croce rossa italiana. Furono costituite, inoltre, le rappresentanze della Croce rossa presso l’esercito, con a capo il delegato generale presso l’Intendenza generale, il colonnello Guido Bassi che ebbe il compito di coordinare l’attività dell’Associazione.
  Nell'ambito del Centenario è bene rievocare che il 1916, però, fu un anno tragico in cui si sgretolarono le illusioni del governo Salandra, che dovette dimettersi per “passare la mano” a un governo di unità nazionale alla guida di Paolo Boselli e che dovette contare circa 250.000 tra morti, feriti e dispersi. Chilometri di trincee si sparsero nelle terre di confine e dietro la prima linea, un altro esercito di donne e uomini si adoperò per la produzione bellica di materiali e mezzi necessari al nostro esercito. Ebbe inizio la «guerra di annientamento», di posizione, ma soprattutto di logoramento. L’orgoglio degli uomini e, soprattutto, di coloro che partirono volontari iniziò ad affievolirsi, fino a giungere ad anticipare moralmente la disfatta di Caporetto, che avvenne l’anno successivo.
   A metà di maggio gli austro-ungarici organizzarono la Strafexpedition, una spedizione punitiva nei confronti del Trentino e diretta verso gli altipiani di Asiago col fine tattico di spezzare l'esercito italiano in due tronconi; dettata, principalmente, dall'odio riservato nei confronti dell’Italia dal capo di stato maggiore, il maresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, per il tradimento posto in essere dall’ex alleato traditore.
   Solo l’impegno degli uomini e la volontà di difendere la patria fecero in modo di arrestare l’avanzata austriaca. Al duro compenso di numerose perdite vanno aggiunte le impiccagioni del tenente Cesare Battisti e del sottotenente Fabio Finzi, catturati il 10 luglio, esempio di patrioti irredentisti; gli italiani, comunque, risollevarono le sorti dell’esercito sino a giungere alla conquista di Gorizia, nella «sesta battaglia dell’Isonzo» di metà di agosto. Operazione in cui fu registrata la perdita della vita, il 6 agosto, del bersagliere ciclista Enrico Toti, particolarmente ricordato per la sua mutilazione dell’arto inferiore sinistro, precedente l’arruolamento volontario.
Vittorio Pisani, Milite della Croce Rossa Italiana
   21.000 morti e 50.000 feriti il costo della guerra d’attacco del regio esercito, per la continua conquista di territorio a scapito dell’Impero austro-ungarico. A questo l’Associazione impegnò tutti i suoi soci per poter dare seguito: un’emergenza umanitaria che già dal 1915 fu il banco di prova di quello che furono le teorie convalidate nell'agosto del 1864 a Ginevra.
    Oltre a morti e feriti, inoltre, ci furono i molteplici prigionieri di guerra da dover gestire. Furono mobilitati, pertanto, migliaia di volontari per l’assistenza umanitaria, principale scopo dell’Associazione, che, inoltre, fu fondamentale nell'operazione di scambio dei feriti e di rimpatrio, nonché per la cura dei prigionieri, affinché non subissero ulteriori maltrattamenti.
   Tra tutti, un esempio del vissuto riguardante il fante Angelo Di Stefano di Vittoria, dopo essere stato preso prigioniero il 6 giugno, che ci apre verso altri punti di vista, in quella regione:
La vita di prigioniero inizia con un'umiliante marcia forzata per le vie di Trento, dove gli abitanti irridono con grida e insulti gli italiani "traditori" per aver abbandonato la Triplice Alleanza. [...] i trattamenti subiti a Trento non saranno mai dimenticati. Fame, freddo e legnate con il bastone. Parecchi soldati ebbero braccia staccate e teste rotte[7].
   Il 1916 fu, inoltre, per i militi della Croce rossa l’anno in cui fu autorizzata l'azione delle squadre di soccorso in prima linea, non potendo la Sanità militare sopperire alle richieste d’interventi.
   Numerosi, pertanto, furono gli interventi con le autoambulanze  ormai motorizzate  tra cui le Fiat 15 ter ideate nel 1913, allestite con quattro o sei barelle per il trasporto di feriti e malati dal fronte alle unità sanitarie allestite dall'Associazione nelle retrovie.
   Tra le particolarità di questo anno di guerra, è possibile annoverare, inoltre, l’opera del medico Gherardo Ferreri, ispettore medico di prima classe della Croce rossa (tenente colonnello).
Diede vita e diresse l’università da campo di San Giorgio di Nogaro (Udine) per studenti richiamati. Lì organizzò un corso in medicina e chirurgia utilizzando spazi comunali come luoghi di studio. Furono allestite baracche per i dormitori e il refettorio e perfino una sala cinematografica, la Maran, venne adibita ad aula collettiva. Come aula magna fu utilizzata la sala maggiore del Palazzo comunale e la cella del camposanto divenne aula di anatomia. I medici laureati furono 1.200, pronti a partire da San Giorgio alla volta dei campi di battaglia, dove necessitava la loro opera[8].
Copertina Calendario istituzionale 2016
    Nel novembre 1916, inoltre, per opera dell’Associazione fu effettuato il primo scambio con gli austro-ungarici di prigionieri di guerra, malati e feriti, anche se fu il 1917 l'anno di maggiore attività nei confronti dei prigionieri austro-ungarici da parte dell'Associazione.
   Sono trascorsi cento anni da questi atti di valore  svolti dai volontari militi della Croce rossa  composti da
azioni umanitarie nei confronti dei sofferenti, in uno dei tanti particolari momenti che ha vissuto il nostro Paese; una  testimonianza utile a colmare il vuoto normativo che da sempre ha accompagnato questi uomini della Croce rossa, tollerati dalle istituzioni militari in tempo di pace, ma molto utili e apprezzati nei momenti di “catastrofi sociali e calamità” e oggi nei confronti di coloro che sono in servizio attivo, di fatto, con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri datato 25 marzo 2016, sono stati stabiliti i criteri e le modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento del personale già appartenente al Corpo militare e quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo indeterminato della Croce rossa.
   Un atto che prevalentemente stabilisce – nella ricorrenza del 150° anniversario dalla nascita – il collocamento in congedo del personale militare della Croce rossa.

  Successivamente, sulla base dell'autorizzazione avuta dal Ministero della guerra datata 1° giugno 1866, sarà disposto dal decreto del Ministero della difesa datato 9 giugno 2017, il ricollocamento in congedo del piccolo contingente di uomini del Corpo militare, sopravvissuto alle disposizioni normative, alla data definitiva del 30 settembre 2017.
 
   Anche questo capitolo di Storia Patria è stato chiuso. 




____________________
[1] Storia della Croce Rossa in Lombardia (1859-1914), vol. I Studi, C. Cipolla, A. Fabbri, F. Lombardi (a cura di), Franco Angeli, Milano 2014, p. 266.
[2] Rendiconto morale ed economico del Comitato milanese di soccorso ai militari feriti e malati in tempo di guerra. Dalla sua costituzione al 31 dicembre 1866, C. Castiglioni (a cura di ), Milano 1866, p. 21.
[3] Ivipp. 59-60.
[4] Ivi, p. 87.
[5] Ivi, p. 207.
[6] Ivi, p. 99.
[7] G. Barone, Gli iblei nella Grande Guerra, Banca Agricola Popolare di Ragusa, 2015, p.121.
[8] Un cuneese dimenticato: il professor Gherardo Ferreri e il suo diario di Libia, A. Demichelis (a cura di), in “Il presente e la storia” n. 73, Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia, Cuneo 2008, p. 74.

Licenza Creative Commons
Nella Prima guerra mondiale i militi della Croce rossa: Inter arma caritas di G. La Rosa 
è  distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
Immagine 2 di Tracce Storiche