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28 dicembre 2008

Il terremoto dello Stretto di Messina: solidarietà internazionale


Cento anni sono trascorsi dalla distruzione portata dal terremoto che ha colpito maggiormente le città di Messina e di Reggio Calabria[1]. Gli addetti all’osservatorio “Ximeniano” annotarono:
Stamani alle 5 e 21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”.
   All’alba del lunedì 28 dicembre 1908, nella piena oscurità e con gli abitanti immersi nel sonno, un[2], seguito da un maremoto, in 37 "interminabili" secondi danneggiò gravemente le città e mise a soqquadro le coste calabro-sicule, con numerose scosse devastanti.
terremoto, per altro uno dei più potenti della storia italiana
   La notizia del terremoto e del maremoto che colpì lo Stretto fu registrata anche dall'osservatorio di Domodossola e dal Coast and Geodetic Survey di Washington, fece il giro d'Italia e del mondo.
   Messina contava circa centoquarantamila abitanti, ne perse circa ottantamila e Reggio Calabria registrò circa quindicimila morti su una popolazione di circa quarantacinquemila abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra impressionante di 120 000 vittime, 80 000 in Sicilia e 40 000 in Calabria. Altissimo fu anche il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali.
   Giovanni Pascoli scrisse: «Gli uomini diseppelliscono gli uomini, per seppellirli di nuovo. L’opera umana è più pia, questa volta, di quella della natura».
   I soccorsi furono organizzati dal ministero della Guerra e dal ministero della Marina: una prova generale per l’Italia.
   Quanto era presente nei magazzini militari di Roma e di Napoli fu spedito via Bagnara-Reggio-Messina, le località più colpite dal terremoto. Nella notte del 29 dicembre, partì da Napoli il piroscafo Jonio della Navigazione Generale Italiana, con truppe e reparti dei militi della Croce Rossa Italiana[3]. Partì da Genova, anche il più grande piroscafo italiano, il Sardegna, utilizzato come nave-ospedale. Per sgomberare le macerie furono richiesti 3 000 lavoratori e furono date tutte le disposizioni affinché l'esercito si rendesse disponibile a ciò che era immediatamente necessario: tende, panifici trasportabili, carriaggi…
   Non appena le notizie della catastrofe giunsero a Roma, il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena affidarono i loro quattro figli a Margherita e partirono, occupando il posto sul treno speciale predisposto per condurre le prime squadre di soccorso sul luogo; da Napoli, i sovrani, in compagnia del ministro Orlando s'imbarcano sulle navi corazzate Vittorio Emanuele e Regina Elena alla volta di Messina. Giunto sul luogo, il re inviò immediatamente a Roma un telegramma dai toni drammatici: «Qui c'è strage, fuoco, sangue e morte; spedite navi, navi, navi e navi».
    Alle 21 fu avvertito il sindaco di Roma, Enrico Nathan, il quale fu uno dei primi amministratori ad attivarsi in prima persona, oltre che tra i più eminenti componenti del Comitato di soccorso voluto dal governo, di cui svolgeva il compito di presidente della Commissione esecutiva.
   Numerose furono le gesta di solidarietà. La contessa Rasponi Spalletti, nobile d’origine ravennate, animatrice di un vivace salotto culturale e alla guida del Consiglio nazionale delle donne d'Italia, fu nominata dal Comitato centrale di soccorso, alla presidenza del patronato ”Regina Elena”[4].
   La dama era un esempio di quel mondo patrizio romano che entrava in azione in questo contesto convulso, agitato dall'arrivo nella capitale di centinaia di sopravvissuti.
   Tra i tanti soccorritori provenienti da ogni parte d'Italia, vi furono medici di Roma, pompieri di Milano, studenti di Bologna, signori di Genova, volontari torinesi, napoletani. Le cronache riportarono: «Avvezzi a tutti i viaggi, non dormono, né si vestono da quattro giorni, inchiodati ad un lavoro che non finisce mai».
   Di quegli eventi tragici, va ricordato che tra i primi soccorritori giunti a Messina il 28 gennaio stesso, ci furono i marinai della flotta imperiale russa, che si trovava nel porto di Augusta per delle esercitazioni. La flotta al comando dell'ammiraglio Livtinov, era composta dalle due corazzate Slava e Cesarevic e dall'incrociatore Makarov (in seguito sarebbe giunto anche un altro incrociatore, il Bogatyr), che riuscì ad attraccare nel porto dove già si era formata una folla di superstiti in cerca di aiuto. Nella stessa giornata arrivò anche la flotta britannica, che coordinò con i russi la propria opera di soccorso.
   Nella sua corrispondenza da Messina per «Il Giornale d'Italia» del 9 gennaio 1909, Goffredo Bellonci omaggiava i tanti benefattori, soccorritori, volontari di varia provenienza e qualifica che stavano percorrendo: «In lungo e largo le rovine, compiuti difficilissimi salvataggi, fatti prodigi di abnegazione»; poiché i primi soccorsi giunsero dal mare, furono ricordati i marinai delle navi russe, inglesi, francesi ed americane che si prodigarono nelle operazioni di salvataggio. Il panorama della solidarietà internazionale era veramente ampio e articolato, come si poteva evincere dall'elenco della partecipazione ai soccorsi dei diversi stati.
   Edoardo Scarfoglio sul «Mattino» di Napoli scrisse anch’egli il 9 gennaio: «Consideriamo la catastrofe come un episodio della guerra che avrebbe potuto scoppiare ieri, che potrà scoppiare domani e facciamo che i nostri nervi non ne siano più profondamente colpiti».
   Un merito tutto particolare fu riconosciuto all'abnegazione e all'eroico sacrificio dei marinai russi, tanto che, già nel primo Consiglio comunale dopo il terremoto, i messinesi deliberarono di erigere un monumento a quei primi salvatori[5]. La solidarietà russa con Messina andò oltre il primo e immediato soccorso: fu costituito il Comitato “Pietroburgo-Messina”, che inviò generi di prima necessità e raccolse fondi per la ricostruzione. Lo stesso zar Nicola II donò 50 000 franchi; lo scrittore Maksim Gorkij volle contribuire, scrivendo un libro sul terremoto, i cui proventi furono donati alla città.
   Tra i primi marinai a sbarcare nella città di Messina ricoperta di macerie, ci fu il capitano Owen e cinque marinai inglesi del mercantile Afonwen e l'equipaggio del vapore Ebro, che salvarono diversi feriti insieme ad altri mercantili inglesi (Mariner, Drake, Chesapeake, Ophir, Vito, Cretic); le navi inglesi da guerra Sutlej e Boxer, di stanza ad Agusta, furono tra le prime a arrivare in città alle prime luci della mattina allestendo i primi ospedali da campo, raccolta viveri a Messina e trasportando i feriti a Siracusa. Oltre duecento uomini furono sbarcati in Calabria. Successivamente arrivarono a dare sostegno diversi incrociatori (Minerve, Exmouth, Lancaster, Aboukir)[6]. A Londra si organizzarono commemorazioni e ricche raccolte di fondi, raggiungendo la somma di 140 000 sterline.
   Una divisione francese composta dalle navi di linea Justice e Veritè, da Tolone scortate da due torpedinieri, si attivò per soccorrere i paesi della riviera tra Messina e Torre Faro, mentre il Dunois distaccato da Biserta fu utilizzato nella costa calabrese. Gli incrociatori protetti Fanfare e Carquois portarono abbondanti soccorsi di viveri, medicinali e legname da costruzione.
   Due navi danesi Heymdal e Thor giunsero il 5 gennaio 1909 e fino all’8 si attivarono sia sulla costa calabra, che nella costa jonica tra Messina e Taormina.
   I volontari della Società viennese di soccorso e della Società viennese per le cucine popolari si mobilitarono per offrire razioni costanti di cibo ai profughi messinesi ospitati a Catania, mentre si segnalarono le navi della Marina mercantile ungherese e le navi asburgiche Zringi, Nagy Lajos, Matcecovitz e piroscafi Andrassy e Olga.
   La nave spagnola Princesa De Asturias sbarcò a Milazzo 100 tende e 45 000 razioni di cibo, mentre il Cataluña fu allestito dal marchese di Comillas, come nave ospedale con 350 posti letto per il trasporto degli orfani.
   L'incrociatore portoghese Vasco De Gama, il 16 gennaio, sbarcò indumenti e viveri nella costa messinese.
   La sera del 19 gennaio un gruppo di giovani chirurghi siciliani residenti a Roma ottenne dalla direzione generale della Sanità pubblica di partire immediatamente per le zone sinistrate, mentre la presidenza del circolo universitario “Corda Fratres” inviò una squadra di studenti e il prof. Tonelli, rettore dell'Università La Sapienza mise a disposizione le prime 11.000 lire raccolte tra gli studenti romani. La nave Sfacteria giunse a Messina il 21 gennaio e si attivò per consegnare a Catania i soccorsi inviati dal governo greco.
   Cibo e materiale di soccorso in grandissima quantità furono portati dalle navi della marina statunitense Culgoa, Connecticut, Ilinois, e dal vapore Bayern della Croce Rossa Americana, mentre si segnalava l'opera del console Cutting Jr., padre della scrittrice Iris Origo; grazie al legname trasportato alle navi della marina statunitense, si realizzò il “Villaggio americano di Messina” costituito da tremila casette nella zona Moselle della città peloritana.
   Un ruolo significativo e poco noto fu quello relativo ai paesi di lingua tedesca, e la Germania in particolare. La mobilitazione della marina tedesca, così come la donazione di abitazioni in legno sia a Palermo, sia a Messina da parte del kaiser Guglielmo II, furono elementi di grande valenza che segnarono un marker germanico su questo evento di significato universale. Un filo di congiunzione che si collegava a un’antica e intensa tradizione tedesca in Sicilia, isola dove erano presenti diverse comunità mercantili tedesche e dove i viaggiatori, da Goethe in poi, permisero la diffusione internazionale del “mito siciliano” e delle leggende dello Stretto di Messina cantate da Schiller[7].
    Benedetto Croce che perse i genitori e la sorella nel terremoto di Ischia del 1883, descrive così questa malattia dell’anima:
   E abbiamo rimorso di vivere, ci sembra di rubare qualcosa che è di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti: codesti sentimenti, chi non li ha, purtroppo, sofferti, o amaramente assaggiati?
   Fu una specie di groppo in gola collettivo, nazionale. I giornalisti parlarono di patria in lutto. Sull’onda dell’emozione collettiva gli italiani riscoprirono la fraternità, tanto che a Roma e a Milano c’era la fila per versare dentro urne avvolte dalla bandiera tricolore i soldi da inviare ai terremotati. La prima onda emotiva che unì tutto il Paese.
   I primi del Novecento furono gli anni del primo femminismo che divenne un movimento internazionale, pacifista, animato da una nuova morale; le suffragette chiedevano il voto e cresceva il ruolo della donna nella vita pubblica. Era appena nato il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana[8] e subito dovette affrontare il più grande disastro naturale. All’epoca c’era chi sosteneva che le donne non avevano la maturità psicologica e la preparazione fisica per assistere i feriti in zona di guerra. Di nuovo il terremoto divenne una prova generale della guerra, ma per molti le donne, erano loro stesse da difendere, anche se nell’immaginario del Risorgimento, l’Italia era una donna.
   Molti furono coloro che si prodigarono per portare aiuti alle popolazioni colpite dalla catastrofe dello Stretto di Messina. Nonostante queste eroiche gesta, solamente sei anni dopo scoppiò la Prima guerra mondiale, che vide coinvolte tutte le potenze sopra citate e altre ancora.
   In quegli anni tra la metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, di numerosi sconvolgimenti strutturali per molte nazioni nel mondo, basati sull’ondata dei continui sviluppi industriali e continue espansioni territoriali, è necessario considerare la società analizzandola da altri punti di vista ed evidenziando che lo spirito di coinvolgimento per la maggior parte degli uomini di qualsiasi Paese, era dettato dal desiderio di “avventura”.
   La Grandeguerra fu accolta con entusiasmo dai giovani volenterosi di fare le loro “avventure”, ma questa volta, ignari delle cose che li avrebbero attesi.




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[1] Già il terremoto del 1783 distrusse gran parte della città di Messina. Reggio Calabria, centro di origini remote e importante polis nel periodo greco, rimase anch'essa devastata dal terremoto del 1783, che determinò la successiva riedificazione di molti dei suoi quartieri secondo un nuovo piano regolatore, con criteri innovativi e che persistono tuttora.
[2] Che raggiunse i 7,1° della scala Richter [11-12° nella scala Mercalli].
[3] Nelle operazioni di soccorso, furono mobilitati nel disastroso terremoto: 252 ufficiali, 781 tra sottufficiali e truppa della Croce rossa.
[4] Ente creato per l'assistenza degli orfani del terremoto, che coinvolgeva in prima persona il fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza [il futuro Santo Don Luigi Orione], a cui fu affidato il difficile compito di organizzare, da Messina, l'assistenza dei circa due mila orfani, forte anche dei poteri affidatigli dal papa.
[5] Cfr., 1908 - Marinai russi a Messina, pubblicato dall'Amministrazione Provinciale di Messina nel 1988, per gli 80 anni dal terremoto.
[6] Segnaliamo il volume Angels in Blue Racket che racconta le vicende dei marinai britannici.
[7] Nel numero del 13 febbraio 1909 di «Ordine e Notizie», il giornale nato subito dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 e fondato dall'on. Giuseppe Micheli, si metteva in rilievo l'intervento della Germania per i profughi del terremoto: «In Germania la notizia del disastro ha colpito profondamente gli animi, perché moltissimi conoscono il paese colpito; che per i touristes tedeschi è diventato una delle mete preferite da quando l'Imperatore ha scelto per più volte Taormina come una sua villeggiatura. Lo slancio della carità corrispose all'emozione grandissima e se la stampa finora ha tenuto poco conto dell'attività tedesca lo si deve certamente al fatto che il carattere nazionale dei tedeschi li spinge ad agire senza farsi un auto-reclame. Il Comitato centrale finora ha raccolto più di 4 milioni e mezzo senza tener conto dei doni in natura e se vi si aggiungono i doni pervenuti da tedeschi a comitati italiani, certamente si completa il quinto milione. Si sono visti degli esempi di nobile gara. A Francoforte sul Meno, per esempio, la “Gazzetta di Francoforte”, che è il più importante giornale della Germania, ha raccolto più di 50.000 marchi, e quasi altrettanto la Camera di Commercio di quella città».
[8] Nel 1908 già un migliaio d’infermiere tra diplomate e allieve costituiva il personale disponibile. Nelle operazioni di soccorso della Croce Rossa Italiana, furono mobilitate nel disastroso terremoto 260 “crocerossine”.

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Il terremoto dello Stretto di Messina: solidarietà internazionale di G. La Rosa è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.