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8 luglio 2019

Dalla ABCD alla Purfina (1)


Dall'A.B.C.D. all'A.N.I.C.

Dell’A.B.C.D. all’inizio furono gli stabilimenti di Ragusa: i processi industriali


[I parte]

La zona asfaltiva di Ragusa fa parte della formazione miocenica dei calcari (in massima parte elveziana e langhiana), che, a partire da Siracusa, si estendono sul versante meridionale dell’isola. 
   Già verso la metà del XIX secolo, delle rocce asfaltiche dette «pietra pece» si estraevano da una località non molto distante dall’abitato di Ragusa – le contrade Sdirupato e Mafita o Nafta – così conosciute e riportate da un appassionato di storia locale, Filippo Garofalo: 
   Il Ferrara lo descrive così: «Questo composto bituminoso che l’odore ha fatto chiamare pietra-pece, e ch’è formato di carbonato di calce, di petrolio e di poco allumine, brucia al fuoco e spesso trasuda olio minerale dai massi esposti al fuoco».
   Gli usi cui si adatta e può adattarsi la pietra asfaltica naturale sono moltissimi: 
Dalla pietra-pece asfaltica si fanno:
1. Lastre per pavimenti figurati di saloni, anditi… riunite alla pietra bianca di diverse forme e disegni;
2. Lastre per impedire la penetrazione e l’umidità;
3. Condotti incorruttibili per condurre acqua, tubi forati e simili; 
4. Trombe idrauliche per lo presciugamento delle miniere di zolfo ed altro; 
5. Trombe per pozzi atte a conservare la salubrità e nettezza dell’acqua ed al risparmio di secchie, corde, ecc.; 
6. Oggetti diversi, colonne, vasi, statue, balconi, gradinate, pavimenti, ecc.; 
7. Polvere di pietra bituminosa atta alla composizione del mastico idraulico degli antichi Romani unito alla calce viva: mastico impermeabile; 8. Asfalto per le pietre artificiali… 
   Si può estrarre: 
1. Asfalto secco per tele e cappelli incerati, vernici, colori, ecc.; 
2. Pece di asfalto per la marina; 3. Catrame di asfalto per la marina, colore per conservare il legname esposto all’aria; 4. Petrolio o nafta per illuminazione a gas.

   Quasi trecento ettari, il giacimento di pietra pece a sud dell’abitato, che si estendevano tra le contrade Cortolillo, Moncillè, Pendente, Petrulli, Sdirrubbato, Tabuna e Volpe; terreni brulli che, all’insaputa degli agricoltori e dei massari ragusani, nascondevano una grande fortuna: oggi archeologia industriale del ragusano, principalmente nelle contrade Tabuna, Strappenosa, Castelluccio e Buglia. 
   In epoca pre-ellenica furono effettuate le prime lavorazioni di queste rocce calcari tenere “imbevute” di petrolio, utilizzate, soprattutto, per la costruzione del tabuto – il sarcofago, così detto localmente – i cui ritrovamenti furono in una zona che ne prese, appunto, il nome di Tabuna, a sud della Hybla Heraia di allora. Dell’era moderna la fonte battesimale della chiesa di San Tommaso, rappresentata di forma circolare e indicata quale la più antica testimonianza rinascimentale di lavorazione della pietra pece, risalente al 1545, per la realizzazione del fabrius et architettorici Vincenzo de Blundo. In pieno Barocco, con la ricostruzione effettuata a causa del terremoto del 1693, che colpì gran parte della Sicilia orientale, sia il duomo di San Giorgio – l’insigne collegiata – sia la cattedrale di San Giovanni Battista furono rifinite con lavorazioni in pietra pece nella prima metà del XVIII secolo, oltre a ornamenti in altre chiese minori e a cui si aggiunsero le numerose pavimentazioni e scale delle abitazioni private della zona. 
   L’altopiano ragusano, di fatto, è caratterizzato dalla presenza diffusa di rocce asfaltiche, generate da varie azioni telluriche avute luogo in epoche remote, le quali hanno provocato la risalita di idrocarburi, col progressivo lento assorbimento avvenuto dai sedimenti calcari. Particolare pietra che – se riscaldata – oltre a esalare un particolare profumo diventa malleabile, per tornare, poi, dura appena scesa la temperatura; fenomeno che si acutizza se alla temperatura si associa una forte pressione. 
   La pietra pece è un materiale che, carico di significati simbolici, provoca piacevoli sensazioni tattili, visive e olfattive. Il diverso colore assunto dalle rocce asfaltiche dipende dalla percentuale di bitume in esse contenuto. Tuttavia il colore bruno caratteristico di questo tipo di rocce non è riscontrabile negli strati più superficiali a contatto con la luce e l’aria poiché negli strati superficiali il bitume tende a ritirarsi facendo riassumere alle rocce l’originario colore bianco del calcare.   Le rocce asfaltiche sono costituite da calcare bituminoso formato da calcareniti alternati a calciruditi.
   Queste, quindi, le basi di una produzione di asfalto naturale che all’inizio del Novecento toccava già le 80.000 tonnellate; trasportato con i carretti allo Scalo Trapanese – il porticciolo di Mazzarelli – era poi imbarcato per raggiungere con dei barconi il porto di Pozzallo, dove alla fonda si avvicinavano ai piroscafi che, non appena terminato il trasbordo del materiale inerte, avrebbero fatto rotta per l’Inghilterra, la Germania, la Francia e anche gli Stati Uniti. 
   Alla fine dell’800 fu adoperata in lastroni per pavimentazioni stradali. “Nel 1900, testimonia Mario Spadola [L’asfalto, 1977], Berlino superava un milione di metri quadrati di pavimentazione in asfalto compresso, ottenuto in gran parte da roccia esportata da Ragusa”. Con roccia asfaltica Milano aveva pavimentato via Montenapoleone, e Palermo viale della Libertà. L’uso preminente nella costruzione era ornamentale per gli edifici: basamenti, colonne, capitelli e fregi, e soprattutto, per le scale. Tuttora molti palazzi d Ragusa e Modica, e non solo, hanno scalinate di pietra pece. Con essa furono realizzate a Modica le scalinate di S. Giorgio e S. Pietro, poi sostituite per l’usura con lastre di pietra dura. Dal secolo XVIII furono impiegate nei ballatoi di balconi, con lastre lunghe un metro: prima dell’introduzione del cemento armato nell’edilizia, i ballatoi delle balconate erano, nel ragusano, di pietra pece. 
   Le qualità di roccia migliori, inoltre, erano trasportate con la ferrovia – realizzata dalla Società per le strade ferrate della Sicilia – ai porti di Licata, Catania e Siracusa per essere inviate oltre oceano. 
   La presenza di queste rocce asfaltiche permise l’apertura di grandi impianti minerari e il territorio ragusano fu “invaso” da impresari, maggiormente stranieri; dalla scoperta avanzata da tre mercenari svizzeri nel 1838 – di cui meglio definisce il Garofalo – arrivarono gli inglesi con le compagnie Val de Travers asphalte paving company limitedUnited Limmer & Worwhole rock asphalte company limited con sede a Londra e una concessione di circa ottantacinque ettari ed Henry & Alfred Benjamin Aveline company con sede a Catania; i francesi con la Compagnie générale des asphaltes de France con sede a Parigi si configurarono tra le imprese di maggioranza, tra le prime presenti nel territorio; altri impresari e gestori minori giunsero sul territorio a cavallo dei due secoli, quali Samuel Issac svizzero, Robert Trewhella inglese, Alfred Gutterean francese, nonché la nostrana Società anonima Puricelli strade e cave di Milano
   Come dal Settecento sino al Novecento la Sicilia ebbe il monopolio naturale della produzione mondiale dello zolfo, così l’aggiunta della produzione dell’asfalto naturale, già dalla seconda metà dell’Ottocento, la portò a una maggiore attenzione commerciale da parte delle principali nazioni industrializzate. 
   Alla fine dell’Ottocento, col progressivo aumento della circolazione dei mezzi di trasporto (soprattutto le biciclette) l’asfalto ebbe un notevole utilizzo per “sistemare” le strade sterrate delle principali città europee. Per la pavimentazione, l’asfalto naturale era lavorato attraverso la compressione e poi cilindrato a caldo su una base di calcestruzzo, ma la stessa temperatura dei periodi caldi obbligava a opere di manutenzione, a causa della deformazione del manto, dovuta al passaggio delle ruote dei vari mezzi in uso all’epoca. All’inizio, comunque, i manti stradali non diedero dei buoni risultati, in termini di resistenza nei confronti degli agenti atmosferici e dell’usura, soprattutto in strade trafficate. 
   Col nuovo secolo gli interessi di neo costituite società siciliane si affacciarono nel territorio ragusano: la Società Coco Testa di Catania, che ottenne dei finanziamenti dalla Banca commerciale, la modicana Ditta miniere e industrie fratelli De Naro Papa e la Società anonima per gli asfalti siciliani. 
   Purtroppo, durante la Grande guerra mondiale, l’estrazione rallentò, fino a raggiungere un massimo di circa 25.000 tonnellate, a causa della necessità di fornire uomini da inviare in trincea. Un periodo questo che vide un’affermazione dei derivati del petrolio, maggiormente intesi come carburanti e lubrificanti, in cui benzine e gasoli soppiantarono il cherosene. 
    Fu proprio nel triste autunno 1917, quando una nebbia ferale sembrava dovesse avvolgere l’Italia, che, preoccupati della crescente crisi di combustibili liquidi, si ebbe il coraggio e la fede di affrontare lo stesso grave problema che il Governo italiano – con larghezza inusitata di mezzi – da una parte, e numerosi industriali dall’altra, si erano proposti di risolvere, senza che raggiungessero, né subito né in seguito, alcun risultato per quanto minimo. Intendiamo parlare della distillazione delle rocce bituminose, per ricavarne oli combustibili. E i risultati ottenuti furono giusto premio alla cosciente audacia!. 
  Nel territorio ragusano, nel periodo del biennio rosso – a causa di una forte disoccupazione – furono le rivolte degli uomini rientrati dal fronte a far riattivare le miniere, che diedero i primi segnali di ripresa della produzione. 
   Alla fine degli anni Dieci si stette realizzando una nuova era, col passaggio, quindi, dalla sola estrazione della pietra asfaltica all’elaborazione chimica per la produzione dei prodotti combustibili. Raccolse un gran numero di mano d’opera, infatti, l’impresa costituita e diretta dall’ingegner Andrea La Porta: la “Società italiana asfalti bitumi catrami e derivati – A.B.C.D.”, fondata il 15 dicembre 1917, con capitale in parte dello Stato: direzione e amministrazione in Roma, Via del Tritone 132; stabilimenti e miniere in Ragusa, Contrada Tabuna; raffinerie oli lubrificanti Roma-Trastevere, Via Portuense 96c. 
Ragusa: uno degli stabilimenti per la lavorazione delle rocce asfaltiche
   Oltre alle consociate Val de Travers companyAveline Brothers company e la società Puricelli acquisite dall’ABCD, in aggiunta all’apporto di capitali pubblici tramite la Banca italiana di sconto, per lo sviluppo dell’ABCD – titolare di una concessione di settantasette ettari – nel 1918 fu rilevata la palermitana Società sicula per l’esplotazione dell’asfalto naturale costituita nel 1886 in Via Girgenti 3, cui gerente fu il principe Filippo Landolina di Torrebruna, concessionaria di sei ettari e mezzo proprio in contrada Tabuna; un’area mineraria ritenuta tra le migliori nell’altopiano ibleo: a cinque chilometri da Ragusa, a venti dal porto d’imbarco di Mazzarelli e al confine con la valle del fiume Irminio. Ulteriori giacimenti furono in contrada Rinazzo, della estensione di tredici ettari, pur essa in territorio di Ragusa e in contrada Castelluccio di trenta ettari, in territorio di Scicli
   Negli anni Venti aumentò il fermento nella popolazione della “neo provincia” di Ragusa, che ritrovò lavoro in quelle miniere di petra pici – che, anche attraverso l’indotto, impiegò un terzo della sua popolazione
   Durante il periodo tra le due guerre si tentò anche la distillazione dei prodotti petroliferi, che, però, furono ben presto abbandonati, poiché si dimostrarono troppo costosi in rapporto ai modesti risultati conseguiti. Nell’aprile del 1920 il consiglio d’amministrazione dell’ABCD decise di portare il capitale sociale da 5 a 7 milioni di lire, tramite l’emissione di azioni ordinarie alla pari per un valore di L. 500.000. 
   A tutte le lavorazioni sono addetti circa mille operai, tutti di sesso, maschile, non essendo consentaneo alle usanze locali il lavoro delle donne, nelle lavorazioni industriali. Del resto si tratta di lavori, che, per quanto fatti all’aria libera, sono relativamente faticosi.    Le maestranze sono sobrie e laboriose, e predomina tra esse il buon senso e la correttezza. Il livello morale è molto elevato.    […] L’estrazione della roccia è affidata a cottimisti. I salari degli operai sono stati recentemente concordati, e sono soggetti a periodica revisione in base all’aumento eventuale del costo della vita.    La società A.B.C.D. ha in corso di attuazione importanti provvidenze sociali a vantaggio dei suoi lavoratori: cooperative di consumo, di mutua assistenza, di costruzione di case popolari, ecc. che per quanto abbiano ed avranno assistenza autonoma, sono e saranno della Società A.B.C.D. incoraggiate nel sorgere e sorrette nel loro sviluppo. 
   Oltre all’attività di estrazione della roccia asfaltica, nel territorio ibleo si volle avviare la ricerca petrolifera, e tra il 1927 e il 1929 furono fatti sette sondaggi a campione su incarico dell’AGIP, coordinati dal locale ingegnere Mario Spadola – un pioniere del settore – però, non essendo riusciti a superare con la trivellazione i trecento metri di profondità, a causa della tecnologia in dotazione all’epoca, i risultati furono nulli. Il regime, in ogni caso, non autorizzò più concessioni a imprese straniere sul territorio ragusano, se non per semplici sondaggi che non diedero risultato, tra cui da parte statunitense con il geologo J. Elmer Thomas, il quale mandò il ricercatore John H. Ammond. 
   Nell’arco dei primi anni di vita, lo sviluppo “storiografico” dello stabilimento ragusano vide, già nel 1926, un cambio di denominazione per l’impresa in Società italiana asfalti bitumi combustibili liquidi e derivati – A.B.C.D., per proiettarsi a nuove valutazioni e progettazioni rivolte alla costruzione di un cementificio, che avrebbe potuto operare attraverso l’utilizzo dei residui di roccia, quale scarto della distillazione. 
   Dal 1927 fu in grado di produrre oltre 10.000 tonnellate di olio grezzo l’anno, del valore di circa 40 milioni di lire dell’epoca
   Per avere contezza dell’importanza della vastità dei giacimenti basterà ricordare l’affermazione del ministro dell’Economia, Giuseppe Belluzzo secondo cui “le miniere di Ragusa potevano da sole emancipare l’Italia per mezzo secolo dall’importazione di combustibile leggero e pesante” […] Dal resoconto di Ciuti [Ugo, segretario dell’Unione provinciale dei sindacati fascisti dell’industria, nda], inviato al Prefetto nel 1930, si apprende di un progetto del Ministero delle Corporazioni, che prevedeva per l’ABCD, il raggiungimento di 50 mila tonnellate. 
   All’epoca, si poté affermare che l’olio ricavato dall’asfalto di Ragusa fosse il più ricco del mondo, come percentuale di lubrificante e quindi superiore a qualsiasi altro! 
   (...) Alcune cifre della produzione giornaliera: abbattuta 3.000 tonnellate; roccia utile 800 tonnellate; olio grezzo 7.500 chilogrammi; nafta 50.000 chilogrammi; piloni di asfalto 180 tonnellate; mastici di asfalto 10 tonnellate. 
   Intanto, si passò da 50.000 a 200.000 tonnellate, nella prima metà degli anni Trenta, grazie a rinnovati finanziamenti pubblici, avuti col passaggio delle quote di partecipazione statale dell’ABCD, dal Consorzio sovvenzioni valori industriali all’IRI, nel 1934, e in seguito nella Azienda nazionale idrogenazione combustibili – ANIC, fondata nel 1936 in Palermo, per l’esclusiva produzione di carburanti. 
  La roccia, semplicemente triturata e ricompattata secondo un processo chimico-industriale, era sottoposta a procedimenti di distillazione olio minerale, acquistando quindi maggior valore per lo sviluppo tecnologico, già a metà degli anni Trenta. 
  Un estratto di “una giornata tipo” descritta dall’Istituto Luce in uno dei suoi «Cinegiornale» propaganda l’attività dell’ABCD di Ragusa: 
   (...) Il trivello apre i fori per le mine, il piccone frantuma la roccia e mentre gli uomini si affaccendano intorno alla pietra calcare asfaltatica, una macchina ne soccorre l’opera con l’aiuto del suo vasto cucchiaio raccoglitore; i vagoncini trasportano, poi, il carico fino alla banchina di cernita. Mentre le mine sfaldano i fianchi del monte preparando nuovo materiale, il frantoio-giratoio, capace di trattare 260 tonnellate all’ora, accoglie questo, che un nastro trasportatore convoglia al deposito per alimentare i forni di distilleria. (...) Nelle camere elettrostatiche, ad un voltaggio di 68.000 volts, si condensano i vapori d’olio; mentre ad operazione compiuta: da una parte l’olio asfaltico cola nella vasca di decantazione; da un’altra esce il materiale esausto per essere scaricato a valle. (...) Capaci caldaie della distilleria per la produzione di nafta ed olio stradale che viene travasato in fusti; vi si produce anche mastice che è messo in apposite forme. (...) Il reparto molitura dove si produce la polvere di asfalto per uso stradale, che viene confezionata in sacchi. 
   Nel 1937, inoltre, a seguito dell’installazione, assieme ai tecnici della Società italiana Ernesto Breda per costruzioni meccaniche di Milano e agli operai ragusani, del cosiddetto «forno Roma» – dal nome dell’ingegnere che lo progettò – si raddoppiò l’estrazione della roccia asfaltica inviata alle distillerie, la cui prima macchina per la distillazione – su brevetto dell’ingegner La Porta – fu fornita all’ABCD dalla Società fratelli De Bartolomeis, nel 1933. 
   L’olio grezzo ottenuto dai forni a gazogeno è un prodotto purissimo, omogeneo, costante, il quale costituisce un ottimo combustibile a 10.300 calorie e che ha avuto larghe applicazioni nei motori Diesel, nei focolari a nafta e nei forni a fusione. 
   Questi permettevano la distillazione dell’olio grezzo dal prodotto appena estratto, fino a portarlo a olio lubrificante. Dell’olio asfaltico grezzo, ottenuto negli stabilimenti minerari di Ragusa, una parte era caricata su cisterne ferroviarie e piroscafi-cisterne dell’Abcd dirette alla raffineria di Roma, dove era ulteriormente depurato, per essere trasformato in olio combustibile. 
   La produzione di oli scuri, più concentrati, avveniva nel reparto distillerie degli stabilimenti di Ragusa, che lavorava giorno e notte; gli oli raffinati erano, invece, prodotti nella raffineria di Roma, in ampi capannoni sorti in breve tempo in via Portuense.


fine prima parte


N.B. per facilitare la lettura on line sono state omesse le note, che, invece, saranno complete nell'e-book che sarà possibile scaricare...


La fotografia riproposta da Tracce Storiche è opera di soc. A.B.C.D. ed è tratta da una cartolina postale dell'inizio del Novecento


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