Pagine

14 luglio 2019

Dalla ABCD alla Purfina (2)


Dall'A.B.C.D. all'A.N.I.C.

Dell’A.B.C.D. all’inizio furono gli stabilimenti di Ragusa: i processi industriali


[II parte]

L’ABCD divise la concessione dei giacimenti di asfalto con la Antonino Ancione S.p.A., che, nata negli anni Trenta in Palermo, nel 1944 aprì i suoi stabilimenti a Ragusa, trasferendo dal capoluogo siciliano la produzione di mattonelle di asfalto per l’arredo urbano – indicata, per questo, come unica produttrice al mondo, dell’epoca! 
   Dopo una serie di difficoltà dei concessionari inglesi dell’impresa Aveline Brothers, nel 1952, la società Ancione ne acquisì la concessione del giacimento minerario, la cui estensione ‒ di circa ottanta ettari in contrada Tabuna ‒ permise di ampliare la produzione di mattonelle, mastici d’asfalto e bitumi.

   Diamo ora uno sguardo a quella che fu la situazione dei lavoratori del settore, che, di fatto, prima
Gruppo di operai - Primi Novecento

della Seconda guerra mondiale, vide occupati negli stabilimenti minerari dell’intero altipiano ragusano circa 700 minatori. Erano uomini provenienti dai vari comuni della provincia, i quali lavoravano 10-12 ore al giorno per una paga, seppur decente, non certo equiparata al duro lavoro. Lavorando nelle gallerie, prima della Grande guerra, erano pagati 2-3 lire il giorno; nel dopoguerra fino agli anni Trenta si arrivò a 12 lire per gli adulti e 6 lire per i minori e per coloro che si occuparono della logistica, mentre per gli specializzati si poté arrivare anche a 15-19 lire il giorno. Durante la guerra nel 1944, il salario della miniera era di 70 lire il giorno, mentre il pane di contrabbando andava a 100 lire. Il lavoro nelle miniere di pietra pece era legato alle quotazioni dell’asfalto e siccome il mercato della pece oscillava, si poteva arrivare a turni quindicinali e «il pane non sempre si portava a casa», per via di una paga misera. 
   L’apice delle difficoltà nel secondo dopoguerra, per coloro che lavorarono nelle miniere di pietra pece, risalì al biennio 1948/49, poiché i concessionari inglesi chiusero momentaneamente le aree minerarie ragusane, a causa della crisi in cui si trovò il mercato del bitume, essendo stato sostituito da un surrogato proveniente da scarti di lavorazione del petrolio. La preoccupazione sociale per la perdita del lavoro nell’intero territorio ragusano salì maggiormente nel 1949 e la tensione portò un gruppo di minatori a manifestare per tre mesi, permanendo all’interno delle miniere di contrada Tabuna, al fine di gettare un allarme sulla reale situazione. 
   Nel 1949, per salvaguardare l’economia locale e quella dell’intera regione, arrivarono dei finanziamenti pubblici a sostegno dell’ABCD. Ne diede conferma pubblicamente il ministro dell’Industria e del Commercio, a seguito di “sollecitazione” dei socialisti, per voce del senatore Salvatore Molè, riguardo alla necessità di conoscere quali provvedimenti il governo intendesse adottare a salvaguardia delle miniere di asfalto di Ragusa, importante patrimonio per la collettività ragusana, per la Sicilia e per la Nazione: 
   In seguito a riunioni tenutesi nel luglio scorso presso il Ministero del lavoro alle quali, fra gli altri, hanno partecipato il rappresentante del Ministero dell’industria e quello del Governo regionale nonché i rappresentanti delle aziende interessate e quelli dei lavoratori, è stato deciso, in conformità alle proposte avanzate dalla nota Commissione governativa, di accordare un ulteriore contributo alla Società Asfalti Bitumi Combustibili e Derivati (A.B.C.D.) per far fronte agli oneri derivanti dal trattamento della roccia asfaltica povera nei forni di distillazione di Ragusa.
   Successive intese fra il Ministero scrivente e l’Assessorato all’industria del Governo regionale hanno stabilito che il contributo dovesse essere accordato per il quadrimestre luglio-ottobre 1949 nella misura di lire 26 milioni da ripartirsi metà a carico dello Stato e metà a carico della Regione.
   È stato anche disposto che l’A.B.C.D. alleggerisse le proprie maestranze di 40 unità.
   La quota di 13 milioni a carico dello Stato è stata ripartita in due rate di cui la prima di 9 milioni è già stata versata all’A.B.C.D. ai primi di ottobre e la seconda, di 4 milioni, sarà pagata prima della fine di ottobre.
   La Regione siciliana però, non ha ancora provveduto al pagamento della quota di sua spettanza.
   Intanto l’A.B.C.D., con l’anticipo ricevuto, ha provveduto a pagare le forniture di roccia fatte dalla Compagnia Inglese Limmer e Val de Traves la quale, a sua volta, ha saldato i salari dei propri dipendenti.
   La Società A.B.C.D. deve ancora provvedere a pagare l’indennità di licenziamento dei 40 operai ciò che comporta una spesa di circa 6 milioni.
   Intanto le vendite dei prodotti distillati sono sempre assai limitate e così pure quelle di polvere asfaltica per le strade, per cui appare evidente la necessità e l’urgenza che il Governo della Regione siciliana provveda al più presto al pagamento dei 13 milioni. In tal senso il Ministero dell’industria sta svolgendo il suo interessamento.
   La situazione è, per il momento, tranquilla ma è da prevedere che, ove persistano le difficoltà di collocamento dei prodotti asfaltici e non si addivenga ad una ulteriore riduzione di mano d’opera nelle due imprese (A.B.C.D. e Limmer), la situazione stessa verrà nuovamente ad aggravarsi nei prossimi mesi richiamando nuovamente l’attenzione del Ministero scrivente e della Regione.
   Intanto l’A.B.C.D. ha avviato lo studio per la trasformazione della propria attività in modo da arrivare alla creazione di un cementificio che utilizzi il calcare asfaltico in modo integrale, anziché usarlo in una antieconomia ed irrazionale distillazione della roccia, operazione questa che veramente non si può considerare elemento di rigenerazione della Sicilia.
  Tale risoluzione risolverà in modo duraturo la situazione asfaltica di Ragusa, ma la sua realizzazione non può cero essere prevista a breve scadenza.

Il Ministro: Lombardo 
   La Sicilia, con l’arrivo degli anni Cinquanta, diede una svolta alle attività petrolifere nell’isola, infatti, l’autonomia statutaria giustificò alcune leggi regionali, rivolte ad attrarre capitali privati stranieri, ma anche nazionali, cui offrirono i miraggi del sottosuolo ancora non sfruttato, nonché manodopera a basso costo, oltre ad agevolazioni fiscali e creditizie. A livello nazionale a regolare il mercato ci fu la legge 8 febbraio 1934, n. 367, di conversione del regio decreto 2 novembre 1933, n. 1744 di disciplina della lavorazione, del deposito e della distribuzione degli oli minerali e dei carburanti; si dovette, però, attendere gli anni Cinquanta per la liberalizzazione delle importazioni, nonché per la costituzione dell’Ente nazionale idrocarburi, che avvenne nel 1953, quale ente pubblico economico, diretto da Enrico Mattei e la legge 11 gennaio 1957, n. 6 per la ricerca e coltivazione degli idrocarburi. 
   In Sicilia, infatti, maturati i tempi, passò a larga maggioranza la legge regionale 20 marzo 1950, n. 30 riguardante la disciplina della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, in forza della quale, come vedremo, la Gulf Italia company ottenne la concessione del giacimento di Ragusa. Una norma “rivoluzionaria”, con criteri più moderni del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 che regolamentò la ricerca e la coltivazione delle miniere, ma che mancò di quei necessari requisiti per stimolare le ricerche e garantire i diritti dell’operatore fortunato. La nuova normativa regionale cercò di uniformarsi a quanto fatto da altri paesi, interessati a valorizzare il sottosuolo attraverso la ricerca anche da parte dei privati, e fu, pertanto, da riferimento per il legislatore nazionale. 
   La norma siciliana, di fatto, indicò specificatamente che: la concessione di sfruttamento va allo scopritore, senza riserva per lo Stato; in cui si fissarono le royalty, cioè le imposte sul valore della produzione netta, tra il 4 e il 20%. 
   Il compito di fornire al paese un flusso sicuro e abbondante di risorse energetiche a prezzi convenienti, che permettano alla nostra industria di operare in modo competitivo sui mercati aperti internazionali, costituisce la terza componente importante della problematica dell’ENI ed uno dei motivi fondamentali, per lo Stato, di disporre di una grande impresa pubblica nel settore degli idrocarburi. Questa funzione costituisce una grossa differenza fra l’ENI e le altre grandi compagnie che operano od influiscono sul nostro mercato, le quali o sono private o sono compagnie di bandiera di altre nazioni. 
   Fu possibile chiaramente individuare l’importanza che il particolare regime istituzionale – l’autonomia regionale – ebbe, soprattutto, nel dare una nuova forma e una direzione alla vitalità e alla volontà di progresso della popolazione siciliana: una molla preziosa nei confronti delle altre regioni italiane. 
   In Italia centrale, intanto, il 19 gennaio 1950 fu brevettato, da parte della Società anonima italiana per la produzione di calce e cementi – Calcementi di Segni nella provincia di Roma, un sistema di produzione accoppiato tra quello dell’asfalto e quello del cemento. In conformità a questo progetto fu avviato il cantiere per la costruzione di un nuovo cementificio a Scafa, in provincia di Pescara, in associazione con la Società abruzzese miniere di asfalto, la SAMA. 
   Questo nuovo metodo di produzione fu ritenuto utilizzabile per i piani di ripresa economica e del lavoro in Sicilia, poiché in quell’epoca, l’assessorato all’Industria della Regione Sicilia, incalzato dai sindacati e dai politici locali, siglò una convenzione con la Calcementi, in cui si previde l’acquisto da parte della Regione degli stabilimenti di Ragusa, dei concessionari inglesi titolari della United Limmer & Worwhole rock asphalte company – la cui concessione mineraria riguardò un’estensione di circa ottantacinque ettari ‒ e Val de Travers asphalte paving company, questa diretta dall’ingegnere Mario Spatola, ma anche dell’ABCD, con la conseguente consegna alla Calcementi della holding Bombrini-Parodi Delfino – BPD, che s’impegnò a mantenere il posto di lavoro ai minatori, grazie a un nuovo ciclo di lavorazione: 
La roccia estratta a Tabuna verrà sempre lavorata per estrarne il bitume, che diverrà il combustibile del motore che farà girare l’altoforno per la produzione di cemento che quale materia prima utilizzerà quel calcare – privato del bitume – che fino a quel momento era stato buttato perché “inerte” nella enorme discarica che – in quasi un secolo – aveva formato la montagna che lambisce l’Irminio in contrada Luisa. Oggi sembra un fatto inverosimile, per non dire incredibile. Eppure nel 1951 le cose andarono davvero in questa maniera, ed anche molto velocemente. 
   Alla firma della convenzione nacque formalmente la Società italiana asfalti bitumi cementi e derivati – A.B.Ce.D., nel novembre 1951, sulle ceneri della Società italiana asfalti bitumi combustibili liquidi e derivati, avviando un nuovo periodo di sviluppo industriale, che fu considerato il primo in Sicilia! 
   In quell’epoca girarono le voci della vendita al Gruppo Bpd, e un parere del ministro dell’Industria e del Commercio fornì le risposte alle domande presentate alla Camera dei deputati da parte dell’onorevole Virgilio Failla, comunista. 
   In merito all’interrogazione sovrascritta [Quali sono gli attuali rapporti tra la società A.B.C.D. (asfalti di Ragusa) e l’I.R.I., nda] si comunica quanto segue:
   «La gestione della società A.B.C.D. (asfalti, bitumi, combustibili e derivati), limitata alla sola industria mineraria asfaltica, è stata sempre deficitaria ed è stata proseguita soltanto in virtù di notevoli sussidi forniti in un primo tempo dallo Stato ed in seguito dalla regione siciliana. Essendo venuti a mancare, successivamente, i sussidi della regione, l’azienda avrebbe dovuto essere messa in liquidazione, con la conseguente disoccupazione delle maestranze. L’I.R.I. che già deteneva il pacchetto azionario, preoccupato della situazione che si sarebbe venuta a creare a danno dei lavoratori, ha concluso un accordo con la Società calce e cementi di Segni, per costituire una nuova Società A.B.C.D. (asfalti, bitumi, catrami, derivati). Detta nuova società, costituita con capitali dell’I.R.I. e della Società calce e cementi di Segni, in proporzione, rispettivamente, del 30 per cento e del 70 per cento dell’intero capitale sociale, senza, quindi, alcuna partecipazione della regione siciliana, rilevando gli impianti della vecchia Società e delle Compagnie inglesi, concessionarie perpetue per lo sfruttamento delle rocce asfaltiche ragusane, ha assicurato la formazione di un complesso industriale basato anche su un cementificio, la cui costruzione è già in corso, con una produzione di 1200 tonnellate di cemento annue e 30.000 tonnellate di prodotti asfaltici. Si ritiene, perciò, che, associando alla preesistente industria asfaltica, questo nuovo grande impianto produttivo che sfrutta un brevetto di proprietà della “calce e cementi” di Segni, già sperimentato con successo in Abruzzo (Scafa), in una situazione del tutto analoga a quella esistente in Sicilia, vengono assicurate ed aumentate le fonti di lavoro per le maestranze ragusane».

Il Ministro: Campilli 
   Fu, infatti, nel secondo dopoguerra, essendo entrata in crisi a causa della forte diminuzione di finanziamenti regionali, mentre di quelli governativi ne usufruì durante il periodo del regime, che l’ABCD cambiò nuovamente denominazione in Società italiana asfalti bitumi cementi e derivati – A.B.C.D., grazie ai capitali del Gruppo Bpd. Si avviarono, pertanto, nel periodo dal 1° febbraio 1952 al 31 marzo 1953, i lavori per la costruzione del primo cementificio, progettato dall’ingegnere romano Riccardo Morandi, uno studioso del cemento armato, che fu, peraltro, l’ideatore del sistema di precompressione. 
   In questa epoca, quindi, l’industrializzazione nell’area ragusana sarà, dunque, rivolta verso un duplice sviluppo: uno di asfalto e cemento, l’altro di petrolio e petrolchimica. Uno sviluppo per la produzione di cemento e per la produzione di materiale plastico, che porterà Ragusa all’attenzione nazionale e anche oltre i confini del Paese. 
   Nel 1951 l’area industriale del capoluogo siciliano arrivò a occupare fino a 3.000 persone, tra impiegati e operai e l’industria più importane fu quella estrattiva, con la produzione di mattonelle ricavate dalla roccia asfaltica. 
   Per quanto attenne all’attività riguardante lo sfruttamento della roccia asfaltica semplice e tradizionale, la nuova ABCD, al termine della costruzione del cementificio, fu affidata alla direzione dell’ingegnere Cesare Zipelli, che il 1° aprile 1953 ne avviò la produzione di cemento idraulico, dalla lavorazione della calce ossido-idrata.
   La ristrutturazione dell’attività mineraria legata alla pietra pece lavorata a cura del cementificio permise all’ABCD di entrare, quindi a far parte a pieno titolo, nel Gruppo BPD, dando modo alla popolazione del ragusano di vivere un periodo migliore, legato alle speranze di nuove assunzioni. Conferma ne fu, anche, la gestione della direzione, che ebbe indicazioni di favorire concessioni ai dipendenti: di natura extra lavorativa, di rispetto degli accordi sindacali e di controllo della sicurezza sul lavoro. 
   La ristrutturazione con la nuova ABCD portò, nella realtà, a compimento il progetto di sviluppo industriale e inoltre, si arrivò a raddoppiare la produzione di cemento, valorizzando l’impiego della roccia asfaltica, in collaborazione con la società Ancione: una produzione di 200.000 tonnellate, con un’occupazione di circa 300 lavoratori. 
Produzioni dell’ ABCD
Cementi prodotti.................................................... 2.000.000 q.li
Calce idrata.............................................................   360.000 »
Greggi trattati.........................................................     85.000 »
Produzione asfaltica..............................................      60.000 tonn.
   A questo si aggiunse l’attività di ricerca petrolifera, che fu molto forte, al punto di affermare che – negli anni Cinquanta – Ragusa fu al centro degli entusiasmi isolani, che attestò la Sicilia come la regione mineraria più ricca d’Italia! 
   Attività che si concentrò sulla più complessa coltivazione del giacimento rinvenuto e sul trasporto del greggio, che a Ragusa prese l’avvio, anche, a seguito dell’emanazione della legge regionale n. 30/1950 anzidetta. L’occasione fu colta al volo, infatti, dal geologo J. Elmer Thomas, che riprese l’attività di ricerca e, in vista dell’autonomia della regione nel settore minerario, le cose precedettero alacremente con il governo regionale, al punto che consentirono al Thomas di concludere un accordo con la Gulf oil corporation, compagnia controllata da Rockefeller (proprietario della Standard oil company), costituita nel 1936 in successione alla American international fuel and petroleum company di Pittsburg (Pennsylvania, USA), dopo aver inutilmente consultato una ventina di società americane. La Gulf subentrò in proprio, attraverso la sua filiazione Gulf Italia company di Pittsburg – con sede legale in Ragusa e direzione generale in Roma – nella ricerca in Sicilia, la quale, già il 17 ottobre 1948, ottenne il permesso di ricerca “Ragusa”, per lo studio su una superficie di cento mila ettari. 
   Il 27 ottobre 1953 in Ragusa nei terreni della contrada Pendente, di fatto, fu completato da parte della Gulf Italia il campo petrolifero, “il primo pozzo di petrolio” chiamato «Ragusa 1», profondo quasi 2.000 metri. La trivellazione fu iniziata il 21 maggio e raggiungendo uno strato mineralizzato, fu accertata la presenza d’idrocarburi liquidi e gassosi: il 28 ottobre 1953 si confermò la prima scoperta di petrolio su scala industriale. 
Le formazioni attraversate dal Ragusa n. 1 – che sono poi le stesse riscontrate in tutti i pozzi perforati per lo sviluppo del campo di Ragusa – sono costituite in alto da calcareniti terziarie che si appoggiano con discordanza sulla serie mesozoica che qui inizia con calcari del Cretaceo. Seguono in basso marne e calcari marmosi o compatti, in alternanze varie, ai quali si aggiunge una intercalazione filoniana ignea. Questo complesso sovrasta un potente intervallo dolomitico, incontrato nel Ragusa n. 1, il 28 ottobre 1953, ha fatto sgorgare il primo olio, segnando la felice conclusione del lungo ciclo di ricerche. 
   Per essere al corrente dei maggiori sviluppi, l’assessore regionale all’Industria e Commercio, Annibale Bianco inviò dei tecnici del vicino distretto minerario di Caltanissetta, incaricati di fornire più dettagliate notizie. Per la fine dell’anno il dottor Bianco fu in grado di realizzare un quadro generale della situazione di novità venutasi a creare, dichiarando: 
Per quanto riguarda il ritrovamento di Ragusa, si deve precisare che seppure gli elementi finora raccolti e le prove fatte circa la potenza e l’estensione dello strato fanno pensare che si tratta di un giacimento di notevole importanza, tuttavia nulla di preciso potrà dirsi se prima non saranno definiti i lavori di perforazione, che ancora continuano nello strato mineralizzato e prima che il fosso sia messo in fase estrattiva. 
   Su conferme anche dell’AGIP, si dedusse che il pozzo di Ragusa potesse produrre circa 200.000 litri di petrolio al giorno. Ancora, la Gulf Italia ebbe la possibilità di sfruttare le indicazioni e i rilievi svolti a seguito di un lungo lavoro eseguito dai tecnici italiani e dell’utilizzo dei rilievi magnetotermici, brevettati dalla Gulf stessa. Un primo studio geofisico fu condotto nel 1950 utilizzando la magnetometria aerea con apparecchiature trasportate a bordo dell’aereo, autorizzato dal governo italiano: 
   Le ricerche geologiche di dettaglio sono state imperniate:
a) sullo studio stratigrafico del Ragusano e di alcune zone prossime o distanti per confronti a carattere regionale:
b) sul rilevamento di dettaglio del territorio compreso nel permesso di ricerca;
c) sullo studio litologico e micropaleontologico delle formazioni interessanti l’area di ricerca.
   In particolare sono state misurate, campionate e studiate 12 sezioni stratigrafiche, successivamente riunite in cinque sezioni tipo (tre nel Ragusano e due a Nord del permesso); sono stati rilevati in dettaglio circa 120.000 ettari corrispondenti al permesso e ad una ristretta zona intorno ai limiti geometrici di esso; sono state analizzate, studiate e descritte alcune migliaia di campioni. Le ricerche gravimetriche, condotte a contratto da una squadra della Compagnie Génerale de Géophysique, si venivano intanto sviluppando nel permesso di ricerca ed in una vasta area all’intorno, per un totale di circa 180.000 ettari, con una densità di misure pari a circa due stazioni per km., e cioè con un totale di circa 3500 stazioni. 
   Il Museo geologico “G. G. Gemellaro” di Palermo conserva, tra l’altro, dei reperti fossili provenienti dalle aree di estrazione ragusane. Si tratta della Collezione degli asfalti bituminosi di Ragusa, in cui sono presenti dei resti di odontoceti, riordinati in sessantanove lotti raccolti in un periodo di circa cinquant’anni dall’inizio del XX secolo a seguito di affioramenti miocenici. La collezione mostra anche resti di lamellibranchi, cefalopodi, echinidi, gastropodi, coralli, denti di squalo, resti di pesci e resti di un sirenio etichettati come Haliterium. Reperti provenienti principalmente dall’area della miniera dell’ABCD e della miniera della Aveline Brothers company nella contrada Tabuna, come pure dalle contrade Mafita e Castelluccio. 
   Il capo gabinetto dell'assessorato, Giacomo Caiozzo ebbe modo di affermare che: «Dopo vari anni di ricerche, i tecnici sono giunti alla conclusione che la ricchezza di idrocarburi liquidi del sottosuolo siciliano possa considerarsi analoga a quella dell'Iraq, essendo accertato che uguale è la natura dei giacimenti». 
   Dalla Western Geophisical alla Mediterranea Oil Company, dalla Anglo Iranian alla Wake Developpement, alla Wintershall Aktiengesellshaft, alla Western Pacific, alla Daerj, alla Wrightsman, alla Wilnington, è tutto un fioccare negli uffici della Regione di pressanti richieste. Il dr. Bianco ha precisato che su un'area di circa un milione di ettari, il 35 per cento è stato già concesso od è in corso di concessione a compagnie straniere, la rimanenza verrebbe attribuita a ditte italiane. 
   Il petrolio pescato dalle pompe fu trasportato agli inizi con autobotti e con ferrovia e, comunque, nel triennio successivo fu un cammino in crescita: 2.500 tonnellate nel 1954, 151.800 nel 1955, 493.000 nel 1956 e oltre 1.000.000 nel 1957, per sfiorare il 1.500.000 tonnellate nel 1958 (1.437.308), che fu instradato con un oleodotto verso Augusta-Priolo Melilli, alla Raffineria siciliana oli minerali, la RASIOM, di proprietà del giovane Angelo Moratti (che fu, tra l’altro, un “agente” distributore dei prodotti della Permolio della sede di Roma, nel periodo dei primi anni Trenta). 
   La stazione di pompaggio e l’oleodotto Ragusa-Augusta furono inaugurati il 13 febbraio 1957 dal presidente della Regione Sicilia Giuseppe La Loggia, insieme all'avvocato Niccolò Pignatelli d’Aragona Cortes direttore generale della Gulf Italia: costato 2,5 miliardi di lire, lungo settantacinque chilometri, fu realizzato con tubi “Dalmine” (d’acciaio senza saldatura, laminati a caldo) del diametro di 14”, per un peso di circa 5.500 tonnellate e con una capacità annua di trasporto di 2.000.000 di tonnellate. L’opera fu progettata per collegare le vasche di raccolta di Ragusa con i serbatoi di Priolo (della capacità di 45.000 tonnellate) e poi, in due tronchi successivi, uno verso la raffineria Rasiom e l’altro verso la penisola Magnisi con il pontile a mare per l'attracco delle petroliere, al fine di risolvere il problema del trasporto del greggio dal luogo di estrazione alla raffineria. A una stazione di pompaggio, collocata all'inizio della condotta, seguivano una stazione intermedia e un impianto di riscaldamento per diminuire la viscosità del greggio nei periodi invernali. 
   Le vicende dell’epoca dicono che il Pignatelli vinse la concorrenza di un altro pretendente dell’area ragusana – Enrico Mattei – circostanza che spiega forse le parole sprezzanti usate nel 1956 da Giorgio Bocca per definire proprio sul “Giorno” di Mattei il duo Elmer Thomas-Pignatelli: “un trafficante texano ed il suo socio in affari, il primo con un fez rosso in testa perché diceva di essersi fatto musulmano, il secondo vestito da Caraceni”. 
   In quell’epoca, quasi 350 erano i lavoratori impiegati nella Gulf Italia, oltre a 150 nell’indotto che la concessionaria aveva instradato, rappresentato da imprese edili che si occupavano di allestire nuove strade da far percorrere alle autocisterne.


N.B. per facilitare la lettura on line sono state omesse le note, che, invece, saranno complete nell'e-book che sarà possibile scaricare... 

La fotografia riproposta da Tracce Storiche è opera di Soc A.B.C.D. ed è tratta dal volume "Girolamo Manetti Cusa Architetto, Ingegnere, Fotografo, dal Liberty alla Ricostruzione" edito in occasione della mostra storica del 2014 nella chiesa di Sant'Antonio Abate in Palermo


Per scaricare il libro vai alla fine della pagina di Premessa
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.