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15 settembre 2019

Dalla ABCD alla Purfina (10)

Dall'A.B.C.D. alla Purfina

Il passaggio dalla Permolio alla Purfina nella Roma degli anni Sessanta





L’ingresso della “Purfina” negli stabilimenti di via Portuense fu annunciato dalle stampe locali alla fine del mese di luglio 1954, che riportarono oltre alla notizia anche nuovi licenziamenti di 65 operai e la contestuale assunzione a tempo determinato di 50 operai. Ancora non ci si capacitò, come mai un’azienda quale la Permolio, che produsse 340.000 tonnellate all’anno, ebbe bisogno di cedere le quote azionarie per il 70% a capitali stranieri e soprattutto, la questione poco chiara dei licenziamenti. Per placare i sindacati circolò la voce di subappalti, secondo un costume ormai usuale nel padronato dell’epoca, assegnati per lavori di manutenzione e ripulitura, anche della ciminiera. 
   A questo punto a Roma si era venuta a creare una certa ribellione “patriottica” per l’ingresso di una società straniera con capitale anglo-belga, in una struttura la cui sede sociale era nata nel centro della capitale, in via del Tritone e che, comunque, aveva avuto da sempre una gestione nostrana. Il consiglio comunale, arrivati a questo punto, cercò di aprire “battaglia” acuendo la necessità del trasferimento della raffineria in un’area fuori dal Grande raccordo anulare.
   Fu, infatti, in autunno del 1954 che l’onorevole L’Eltore riaprì il caso con un’interrogazione parlamentare, evidenziando la necessità di: «(...) studiare la possibilità d’indurre la “Purfina” (già Permolio) a trasferire i suoi impianti in località più adatta, accordandole, se necessario particolari agevolazioni». Ancora in inverno, il consiglio comunale a maggioranza fu pronto a chiedere al ministro dell’Industria Giorgio Bo di revocare la concessione per l’attuale Purfina; la Lista cittadina, però, non fu d’accordo e pose l’interrogativo sulle sorti dell’industria petrolifera:
   L’ordine del giorno Cerroni-Libotte, infatti, non garantisce che gli impianti attualmente installati nei pressi di Monteverde Nuovo, nella zona della stazione ferroviaria di Trastevere, saranno mantenuti, nel caso di una revoca della concessione, nel territorio della nostra città, né rende sicuri la continuità di occupazione delle maestranze addette alle lavorazioni.
   L’interpretazione della seduta del consiglio comunale del 21 dicembre 1954 fu quella di chiedere la revoca della concessione per quel terreno, ma non di perdere l’industria cittadina, che avrebbe potuto trasferirsi in un’area fuori dal Raccordo, però, sempre nel comune di Roma. Così, infatti, fu chiesto al ministro dell’Industria Bo, mentre la direzione della Purfina aumentò le minacce di trasferimento in altre città.
   La vertenza Purfina-Comune non fu la sola in quel periodo che rientrò nel progetto di una Roma più “amministrativa” che industriale; nel progetto di allontanamento degli impianti dalla zona urbana analizzata cadde anche la Mira Lanza, i cui stabilimenti in via de’ Papareschi mantennero nell’architrave ancora la scritta “Società Anonima Fabbrica Candele Stereatiche”.
   Una società la cui storia ebbe origini più antiche, risalenti al XIX secolo, con la Società prodotti chimici colla e concimi sorta nel 1899, eretta su strutture già precedenti, di fornaci per la fabbricazione di laterizi. La struttura che ebbe le fondamenta sui terreni della famiglia Ceccarelli, fu realizzata dall’ingegner Giulio Filippucci e inizialmente produsse acido nitrico, acido solforico e superfosfato. La Società prodotti chimici colla e concimi fu chiusa nel 1912 e l’anno successivo il Comune comprò beni e prodotti, che furono oggetto di vendita alla Fabbrica di candele Mira, nel 1917. Nel periodo degli anni Venti la società fornì lavoro a 250 operai, ma gli sviluppi industriali furono alle porte e si resero concreti nel 1924, con la nascita della Mira Lanza. Una fusione tra due società in concorrenza tra di loro la Fabbrica di candele Mira di Venezia e la Unione stearinerie Lanza di Torino, che portò alla formazione di un colosso industriale italiano capace di concorrere con le rivali europee, grazie anche all’appoggio economico della Banca commerciale italiana.
   A metà degli anni Cinquanta, il progetto di revisione di spostamento degli impianti riportò in auge il problema dell’assenza di un piano di ubicazione industriale per la capitale.    Un’agenzia di stampa, la SIB, già la sera del 22 gennaio 1955 diffuse un comunicato in cui il conte di Carrobio, uno dei massimi esponenti dell'importante società, affermò:
   Sul nostro trasferimento o meno, non possiamo assolutamente pronunciarci. Ogni dichiarazione un po' avventata potrebbe, infatti, essere interpretata oltre le nostre intenzioni. Per adesso siamo qui, seguitiamo a lavorare e non vogliamo alimentare polemiche. Poi, si vedrà.
   Anche «Il Globo», giornale della Confindustria, diretto da Italo Zingarelli, in questo fine settimana, fece degli annunci riguardanti il trasferimento della Purfina da Roma, asserendo che dei funzionari della società si recarono a Civitavecchia e Aprilia per prendere contatti con le autorità locali, al fine di individuare delle aree idonee per poter ricevere l’imponente stabilimento.
   L’avvocato Latini, segretario generale dell’Unione industriali del Lazio, ancora in questo periodo insisté sull’idea di far rimanere – a tutti i costi – gli stabilimenti in Roma, suggerendo tuttalpiù la parte esterna della Magliana quale ultimo approdo.
   Dal canto suo il segretario responsabile della Camera del lavoro Mario Mammuccari appoggiò anch’egli l’idea di non lasciare la città nelle sole mani di amministratori, allontanando le industrie dal territorio e considerando nello stesso argomento anche la Mira Lanza, la Medea, il Poligrafico.
   L’onorevole Claudio Cianca consigliere comunale della Lista cittadina evidenziò l’allarme legato alla possibile posizione dei lavoratori della Purfina, circa 300 e all’indotto coinvolto.
   Le operazioni di trasferimento furono lunghe e complesse, a causa anche dell’individuazione del sito di collocazione degli impianti, oltre a notevoli disaccordi tra le parti per la stipulazione della convenzione, che richiese l’intervento dell’Avvocatura dello Stato, sollecitata dal Comune. Tra i contrasti ci furono le spese per la realizzazione della strada d’accesso, poste a carico della società e la revisione del numero di distributori nel territorio comunale di Roma, inizialmente fissato in centoventi.
   Ampliando lo sguardo, tra le novità che apparsero nella capitale, il 1955 fu l’anno di attivazione della metropolitana di Roma, che dal 10 febbraio collegò la stazione Termini con l’EUR. Fu il presidente della Repubblica Luigi Einaudi a inaugurare la nuova linea di trasporti sotterranea il giorno precedente. Un progetto che negli anni Trenta previde dei sottopassi collegati direttamente ai vari ministeri, i quali sarebbero dovuti essere traslocati lì, al fine di favorire lo svuotamento del centro della città dagli uffici delle Amministrazioni centrali. La “Linea B”, come indicata nel Piano regolatore della metropolitana del 1941, collegò il centro con la parte sud della capitale, rendendo la fermata della basilica di San Paolo uno snodo molto importante per gli abitanti della zona Marconi, che continuarono a crescere per effetto dell’incremento edilizio.
   Fu anche l’anno in cui all’inizio della primavera si aprì il cantiere per la costruzione della chiesa Gesù Divino Lavoratore – la parrocchia della zona Marconi – affidata a don Francesco Rauti (1916 - 1993) già dal 1° ottobre 1954, che ne fu il parroco fino al 1989, cui si rese apprezzata la collaborazione di don Michele Quarto, vice parroco e fondatore dell’oratorio, poi deceduto nel 1965. Il progetto della chiesa fu del preside della Facoltà di Architettura di Firenze, Raffaele Fagnoni, che su terreno della società Bonatti, il 24 marzo, pose la prima pietra. Il termine della costruzione della chiesa, dell’oratorio e del campanile, assomigliante a una ciminiera di una fabbrica, proprio a significare la conformazione del territorio circostante, alto poco meno di 45 metri, fu il 15 maggio 1960; mentre il 25 maggio, fu svolta la cerimonia della consacrazione, di fronte ai numerosissimi parrocchiani intervenuti, alla presenza del cardinale vicario Clemente Micara e degli altri prelati, oltre alle autorità civili e militari. L’idea della titolazione Gesù Divino Lavoratore fu propria del parroco don Francesco, la quale incontrò il favore dei pontefici Pio XII e Giovanni XXIII, che desiderarono una testimonianza della presenza della Chiesa nel mondo del lavoro. Collaborarono don Francesco, negli anni successivi la metà degli anni Sessanta, don Crispino Borgia, don Maurizio, don Michele, don Paolo.
   Nell’ambito degli incontri internazionali, tra il 6 e il 15 giugno, fu organizzato a Roma il IV Congresso mondiale del petrolio:
   Una pausa di distensione alla vigilia del 4° Congresso Mondiale del Petrolio in programma a Roma dal 6 al 15 giugno 1955, dopo quelli di Londra del 1933, di Parigi del 1937 e dell’Aja del 1951 (quello in programma a Berlino nel 1940 era stato annullato per lo scoppio della guerra): un’occasione irripetibile di collaborazione tra le varie componenti del settore petrolifero italiano, al di là delle polemiche contingenti, per presentarsi unito all’appuntamento. Il comitato organizzatore, di cui fanno parte i rappresentanti delle compagnie pubbliche e private, tecnici e studiosi, è presieduto dal prof. Marcello Boldrini (Eni), vice presidenti Gaetano d’Amelio (Shell) e Enzo Cazzaniga (Esso). Il comitato tecnico è presieduto dal prof. Carlo Padovani. La quota di iscrizione è di 10.000 lire. I lavori si svolgono nel Palazzo dei Congressi all’Eur. Calcolati in 4.000 i presenti. 216 le relazioni in programma, suddivise in nove sezioni di cui quattro a sezioni riunite, tra cui quella di Mattei sullo sviluppo del gas naturale in Italia. […] Tra gli eventi del Congresso, l’udienza in Vaticano da parte di Pio XII (papa Pacelli) che nel suo intervento affronta anche il tema dei principi che dovrebbero ispirare lo sfruttamento delle risorse naturali.

   Nella seduta del consiglio comunale del 12 luglio 1955, l’assessore Borromeo asserì: «Le trattative con l’azienda sono più che in fase di studio», evidenziando l’impressione che la Purfina stesse aumentando la produzione, in contrasto con ciò «che non è lecito fare», rendendo necessaria una sorveglianza particolarmente severa. Il sindaco Rebecchini aggiunse che:
   Circa la futura sede della Purfina si è trovato qualcosa nella zona di Ponte Galeria, ma è necessario fare sì che a questa zona siano estese le stesse provvidenze della zona industriale.
   Anche Civitavecchia aveva avanzato qualche richiesta di allocazione dei nuovi impianti nell’area del proprio comune, a cura dell’Ente porto e della Camera di commercio e nel 1955 anche il piccolo borgo medievale di Ceri si era reso disponibile a ricevere la raffineria.
   Da dove un oleodotto sotterraneo avrebbe congiunto lo stabilimento alla costa nord di Fregene, esattamente a Palo, presso cui sarebbero stati costruiti un deposito ed un approdo per petroliere.
   In autunno l’onorevole L’Eltore presentò un’interrogazione al ministro dell’Industria Guido Cortese sulla controversia venutasi a creare tra Formia e Gaeta, in merito alla progettata installazione di un’altra raffineria di petrolio della Società Golfo e in fase di risposta si ebbero, tra l’altro, queste affermazioni:
   Circa i cattivi odori emessi dagli impianti di raffinazione - ed in particolare con riferimento alla raffineria della Purfina di Roma - si precisa che le esalazioni di questo impianto (come quello della Condor a Rho) sono dovuti essenzialmente al fumo dello scarico del camino superiore del forno di rigenerazione T.C.C. (K.I.L.N.). Questo fumo convoglia i prodotti della combustione del coke depositato nel catalizzatore e contiene anidride solforosa, che potrebbe essere nociva se raggiungesse determinate concentrazioni.
   Un’ulteriore interrogazione al ministro dell’Interno Tambroni, da parte del deputato repubblicano Camangi, si pose a tutela degli abitanti dei quartieri interessati, cercando di avere indicazioni dal governo Segni, circa gli esatti termini e lo stato attuale della questione riguardante lo stabilimento Purfina, oltre ai tempi di realizzazione del trasferimento.
   Il 5 aprile 1956 fu indicato come giorno della terzultima seduta del consiglio comunale con a capo il sindaco Rebecchini e tra gli argomenti all’ordine del giorno ci fu anche il trasferimento della Purfina da Via Portuense 218 a Ponte Galeria, da collocare a destra del Fosso di Galeria a monte della linea ferroviaria Roma-Pisa-Genova. Oggetto di definizione di accordo con la direzione della società petrolifera, cui però non furono indicati i tempi di realizzazione, fu posto l’acquisto del terreno di quarantasei ettari e il trasferimento degli impianti, nonché la bonifica del terreno di via Portuense e la costruzione delle nuove strade, a carico della Purfina. Il Comune avrebbe dovuto realizzare e illuminare una strada che si sarebbe distanziata dalla via Portuense per raggiungere il piazzale d’ingresso dei nuovi stabilimenti di Ponte Galeria.
   Il punto fu approvato a larga maggioranza.
   Il 17 maggio furono aperte le nuove elezioni amministrative e intanto, iniziarono degli scioperi proclamati dal SILP per azioni antisindacali svolte dalla direzione della società, ma anche per i mancati adeguamenti dell’erogazione del servizio mensa, rivendicato dai lavoratori.
   Le operazioni, come prevedibile, si protrassero e le lamentele della cittadinanza delle abitazioni dei quartieri Monteverde, Portuense e Trastevere non mancarono:
   Le autorità sanitarie si sono pronunciate e così pure quelle comunali, ma la Purfina continua imperterrita ad emettere gas pestilenziali e tossici. Con il caldo che è sopraggiunto si è costretti a tenere le finestre chiuse giorno e notte, specialmente la notte, per non far entrare l’aria inquinata. La mattina, nonostante le precauzioni, ci si sveglia intossicati, non si può respirare perché il petto è come chiuso e si tossisce da rimanere soffocati. A Monteverde non si può più vivere con questa Purfina che getta continuamente veleno.

F.to Comitato d’azione
Per la fine dell’anno 1956 – in previsione del trasferimento della raffineria – il Comune predispose lo sviluppo della viabilità per il congiungimento dello stadio Olimpico con l’EUR e la progettazione della via Quirino Majorana, quale prolungamento della via ”Olimpica”, già presente nella mappa dell’Istituto geografico De Agostini, poiché individuata quale collettore con la via Trastevere-Esposizione dell’epoca fascista.




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