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25 aprile 2016

Le radio libere e la stagione dei Centofiori


Una voce da Partinico per illustrare i problemi dei terremotati... Due collaboratori di Danilo Dolci, Franco Alasia e Pino Lombardo si sono chiusi nei locali del "Centro studi e iniziative"; hanno una radio di notevole potenza con la quale trasmettono notizie e documentari fonici sulle condizioni dei terremotati sui 98,5 mhz della modulazione di frequenza e sulla lunghezza d'onda di m 20.10 delle onde corte.
L’emittente può essere udita su tutto il territorio italiano e da molte località all’estero; a quanto hanno annunciato, la possono captare anche negli Stati Uniti. È questa la nuova forma di protesta escogitata per presentare all’opinione pubblica le condizioni delle genti delle valli del Belice, del Carboi e dello Jato dopo il tragico terremoto del 15 gennaio 1968 e dopo che sono passati inutilmente due anni senza l’avvio della promessa ricostruzione.


Giornale di Sicilia, 26 marzo, 1970

La comunicazione sociale, a differenza di com’è possibile viverla adesso, alla metà degli anni Sessanta, per la maggior parte delle persone nelle cittadine di provincia, era ancora legata alle piazze, ai caffè: principali luoghi di confronto e di scambio di opinioni fra amici e conoscenti. In quest’ambito, però, la conversazione si esternava solamente all’interno della cerchia degli ascoltatori presenti e maggiormente la domenica, perché il lavoro dell’epoca riempiva tutto l’arco settimanale e le masse di persone colloquiavano solo in piccoli gruppi, cerchie ristrette all’ambito lavorativo e familiare.
   I mezzi di comunicazione di allora: il giornale, le riviste, la radio e la televisione erano letti o ascoltati in modo passivo, mentre la necessità di “parlare” aveva pervaso le nuove generazioni e i tempi, ormai, erano pronti per dare la parola anche a chi ne avesse interesse, non solo ai professionisti della macchina per scrivere o del microfono. La generazione dei ventenni, del resto, è stata radicalmente diversa da quella dei loro padri, che hanno conosciuto la dittatura e la guerra e che hanno guardato al presente come un periodo di prosperità e di benessere. Per la generazione successiva, la guerra era un evento narrato e la società presente non appariva come quel sogno di libertà di cui parlavano i genitori; infatti, la rivoluzione culturale, con a capo il movimento studentesco del 1968 – molto condivisa dal «ministro dei contadini» Fausto Gullo – concentrava numerosi dibattiti su quest’argomento della comunicazione, tra i giovani e i loro genitori, tra i giovani e i loro professori.
   Nel campo dell’etere, inizialmente si erano mossi gli appassionati «i radioamatori», che spesso dopo cena, dai propri appartamenti, davano seguito a delle nutrite “tavole rotonde” su fatti e argomenti di vita quotidiana, senz'altro di maggiore interesse a confronto agli argomenti “imposti” dai mass media. I CB (Citizen's Band) com’erano conosciuti, erano i primi pionieri delle conversazioni radiofoniche, che si ampliavano nelle provincie italiane agli inizi degli anni Settanta; una società civile in fermento che aveva inaugurato un modo nuovo, democratico, partecipato di fare anche politica a più livelli, una agorà virtuale. Un segno del passaggio culturale del Paese, che doveva assolutamente svolgersi, anche se “comunicare” si poteva allo stesso modo prima, a questo, però, si aggiungeva uno strumento in più: la radio, che rientrava nelle case della gente per portare il segno di un’ulteriore evoluzione sociale, legata questa volta a una nuova forma di aggregazione o meglio, di compartecipazione.
    Durante il periodo bellico 1940/45 ci fu un ascolto intensivo dell’EIAR “Ente italiano per le audizioni radiofoniche”, anche se sia necessario evidenziare che fu “Radio Bari”, all’indomani dell’armistizio del 1943, a mandare in onda i primi notiziari clandestini sotto la responsabilità di un rappresentante del Partito d’Azione, Michele Cifarelli. In onda dal 15 settembre 1943 col programma “Parole di un cittadino italiano”, l’impianto, in genere, rimase acceso fino a venti ore, trasmettendo rubriche con numerosi notiziari, le cui informazioni poterono raggiungere i militari italiani sbandati nelle coste straniere dell’Adriatico, come pure nell’Africa settentrionale. Fu la voce dei partiti di liberazione, oltre ai notiziari tecnici utili anche agli alleati, ma fu principalmente la voce di raccordo delle forze di liberazione con a capo i rappresentanti del CLN. Il tutto concentrato nel 28 gennaio 1944, giorno in cui fu inaugurato da parte del magistrato Cifarelli, il Congresso di Bari, che “Radio Londra” definì «il più importante avvenimento nella politica internazionale italiana dopo la caduta di Mussolini» e che vide la presenza sul palco anche di Benedetto Croce, il quale non perse l’occasione per esprimere parole dure contro il fascismo.
   Nel dopoguerra, con l’incidenza di ritmi musicali statunitensi, la radio fu soppiantata a metà degli anni Cinquanta con l’avvento della televisione, che nel 1954 avviò i primi programmi della RAI TV “Radiotelevisione italiana”. Dopo oltre quindici anni di predominio della Rai, seppur a migliaia di connazionali abbia fatto conoscere cose precedentemente inimmaginabili, creando una finestra su un mondo di intrattenimento, di cultura e anche di alfabetizzazione, utile allo sviluppo socio-culturale del nostro Paese, i progressi dell’Italia, come degli altri Paesi europei, conducevano a nuove necessità, che seppur esasperate nella rivoluzione sociale del 1968, avevano le basi e manifestavano le esigenze riguardo a un altro modo di comunicare, più “schietto” e, quindi, più vicino alla gente comune, obiettivo che portavano avanti nuove testate giornalistiche, sorte a quell’epoca e maggiormente dell’area extraparlamentare.
    Nel mondo dell’etere, la prima a rompere il monopolio della Rai è stata “Radio Sicilia Libera”, che ha trasmesso per la prima volta il 25 marzo 1970 da Partinico, un paesino agricolo in provincia di Palermo. Era proprio la voce del sociologo Danilo Dolci ad andare in onda, quando l’irruzione delle forze dell’ordine, dopo ventisette ore di trasmissione, obbligava all’interruzione e al sequestro delle apparecchiature radiofoniche, su ordine del pretore. Era nata la prima radio-ombra, sullo schema delle radio clandestine del secondo conflitto mondiale, che, invece, liberamente parlava nell’etere, per portare a conoscenza dei connazionali lo stato di abbandono dei «poveri cristi» e della delinquenza mafiosa insediatasi nell’opera di ricostruzione che sarebbe dovuta avvenire nella vallata del Belice, dopo il terremoto della notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968.
   Si apriva una nuova opportunità, una nuova sfida cui numerosissimi giovani risposero con interesse, ampliando un dialogo continuo con i propri concittadini e portando all’ascolto nuovi ritmi musicali, soprattutto, d’oltre oceano. Era l’epoca in cui crescevano le radio libere nelle provincie dell’Italia, settima nazione al modo per la produzione industriale. Tale sviluppo permetteva in Europa la nascita del Welfare State, che attraverso politiche di assistenza sociale, attraverso l’assicurazione di garanzie previdenziali e pensionistiche e relazioni industriali neo-corporative, puntava all’obbiettivo della massima occupazione. Era l’inizio, però, degli «anni di piombo», in un’Italia invasa dai contrasti politici tra comunisti e fascisti, nonostante un lungo periodo di governo della Democrazia Cristiana.
    Dal punto di vista sociale, però, gli anni Settanta sono stati un’altra conquista italiana, dopo il «miracolo economico» del decennio precedente, hanno portato sul tavolo dello sviluppo, di fatto, un altro “prodotto”: i giovani – cuore pulsante di una nazione – che nelle piazze delle principali città hanno manifestato contro la chiusura burocratica delle istituzioni, anni indietro a confronto all’evolversi dei tempi. Hanno appoggiato i sindacati raggiungendo risultati straordinari nel mondo del lavoro, come l’abolizione delle «gabbie salariali» e lo Statuto dei lavoratori, per spingersi fino all’indicizzazione dei salari con la «scala mobile», a metà del decennio.
    In questi anni di contestazioni come di grandi trasgressioni, di lotte sociali per la ricerca della libertà, si estendevano la creatività e la voglia di progresso – un concetto molto invocato in quell’epoca – in cui si avviava una “marcia di sviluppo” verso l’amplificazione dei mezzi di comunicazione di massa e di cui l’Italia aveva il maggior numero di radio libere e di ascoltatori, a confronto degli altri Paesi europei.
   Nello stesso tempo, seppur siano nate nuove emittenti libere, numerose erano quelle sequestrate e intanto che si diffondesse un maggior coinvolgimento per un altro tipo d’intrattenimento e soprattutto, si legalizzasse l’emittenza privata, dalle coste della nostra penisola continuavano a giungere i ritmi e i nuovi programmi provenienti da Ovest con “Radio Monte Carlo”, che trasmetteva in italiano già dal 1966, dal piccolo Principato di Monaco, promuovendo la fantasia dei presentatori, «disk jokey» quali Herbert Pagani, Robertino Arnaldi, Federico “l'olandese volante”, Awanagana e altri. Da Est era “Radio Capodistria” dove subentravano forze nuove provenienti dalle cittadine istriane già passate alla Jugoslavia col Trattato di pace del 1947; giovani sopravvissuti al primo grande esodo che ormai figuravano quali rappresentanti del gruppo italiano in Istria, avviavano le trasmissioni il 25 maggio del 1949 con il nome di “Radio Trieste Zona Jugoslava”, decisi a difendere i loro diritti di originari istriani divenuti minoritari. Affiancata da una rete televisiva, nata agli inizi degli anni Settanta, l’emittente diveniva espressione di quanto d’italiano rimaneva in Istria, e insieme, punto di raccordo per una visione conciliativa dell'intero territorio giuliano, per una convivenza tra simili e tra diversi, che da Pola si spingeva fino a Gorizia. L’impegno principale che aveva questa radio era quello dell’informazione, diversamente dalla radio del versante opposto, più legata all’intrattenimento.
   Nel periodo dal 1971 al 1973, però, numerosi pretori emettevano ordinanze con procedimento penale a carico dei detentori di apparecchi radio ricetrasmittenti non denunziati e utilizzati a uso privato senza concessione, che pare fossero in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, il cui comma 1 recita che "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione": un diritto da considerarsi inviolabile ai sensi dell’articolo 2 della Carta. Il dibattito si focalizzava sulla questione di legittimità costituzionale della riserva esclusiva allo Stato dei servizi di telecomunicazione, inconfutabilmente dimostrata nella sentenza n. 59 del 1960 della Corte Costituzionale; nascevano, quindi, delle obiezioni sulla mancanza di libertà di espressione attraverso i mezzi radiofonici, con riguardo alle nuove tecnologie della scienza e della tecnica delle radiodiffusioni – sviluppatesi dal 1960 – quali l’esistenza di ampie bande di frequenza e i moderni metodi di trasmissione multicanale.
    Di fatto, si parlava, già nel 1963, di radiotelefoni portatili di cui il commercio ne era libero, ma il cittadino era obbligato a denunziarne la detenzione e impossibilitato dalla normativa vigente a farne uso e conservarlo nella propria abitazione, in condizione di “possibile uso”. Con la sentenza n. 225 del 1974 la Corte Costituzionale voleva raccogliere delle incongruenze formatesi all’interno del dettato normativo vigente, sull’argomento diritto di circolazione d’informazioni, protetto dall’articolo 21, affermando, però, la legittimità in via di principio del monopolio statale radiotelevisivo, evitando, altresì, la possibilità a pochi di divenire oligopolisti privati delle fonti d’informazione.
   Seguiva la sentenza n. 226 sempre sull’argomento delle telecomunicazioni, legata maggiormente alla questione delle televisioni via cavo e nel mondo dell’emissione televisiva, la prima a rompere il monopolio della Rai TV è stata “Teleiblea” di Ragusa, il cui fondatore Carmelo Recca il 16 marzo 1975 – nella città all’estremo lembo dell’Italia – ha mandato in onda le immagini della partita locale Modica-Ragusa giocata nel pomeriggio, con grande stupore dei telespettatori abituati ai soli programmi della Rai.
   Con la legge n. 103 del 1975 di riforma della RAI, il legislatore recepiva le indicazioni contenute nelle sentenze del 1974: la legge riservava, infatti, allo Stato, ai sensi dell'articolo 43 della Costituzione, le trasmissioni radiofoniche e televisive via etere e le trasmissioni via cavo a diffusione nazionale. Si apriva in questo caso un nuovo modo d’intrattenimento legato a un mondo che pian piano emergeva dalla “clandestinità”, per raggiungere il proprio pubblico al suono di ritmi che rimarranno sempre orecchiabili, come i famosi dischi degli anni Settanta, nazionali ed esteri.
    Di fatto, però, 177 impianti radiofonici privati erano dichiarati illegali per violazione dell’articolo 195 del Codice postale e delle telecomunicazioni. Nonostante fossero illegali, a Milano era “Radio Milano International” a rompere il monopolio il 10 marzo 1975, con i suoi fondatori: Angelo e Rino Borra, Piero e Nino Cozzi, i quali avevano deciso di dare un’impronta tipicamente statunitense alla loro emittente, con l’iniziativa del «no stop music», non conosciuta in precedenza. L’esperienza è stata interrotta il 14 aprile con l’irruzione della polizia e il sequestro delle apparecchiature disposto dal pretore. Oggi è ancora in onda a livello nazionale col nome di “R 101”. A Roma era “Radio Roma” a dare il proprio contributo dal 16 giugno 1975, ma rimaneva storica e attuale “Radio Città Futura” che iniziava le sue trasmissioni il 15 marzo 1976, concentrata sull’informazione giornalistica tempestiva e “spregiudicata” e anche per la sua programmazione dedicata alla musica jazz, molto apprezzata dagli intenditori. Ha visto tra i suoi fondatori Renzo Rossellini. A Bologna era “Radio Alice” a iniziare a trasmettere il 9 febbraio 1976, attraverso un trasmettitore reperto bellico, posto in un appartamentino al centro della città. Numerosi furono i fondatori tra cui Francesco Berardi detto “Bifo”.
   Sull’”onda” del maggior interesse sociale, all’incremento delle vendite degli apparecchi radiofonici, a quelli per le automobili, le “radio estraibili”, all’incremento delle vendite di dischi a 45 e a 33 giri – i famosi LP, long playing – le pressioni giunsero fino a divenire alla sentenza n. 202 del 1976 della Corte di palazzo della Consulta, che poneva, a questo punto, la soluzione al tema del monopolio radiotelevisivo statale, consentendo, previa autorizzazione statale, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale, ai privati. Era il 28 luglio.
   Alla base del successo delle radio libere vi era certamente la capacità di aver saputo adeguare il mezzo radiofonico alle esigenze della società. Infatti, da circa 150 nel 1975, divenivano circa 2.800 nel 1978 le radio private su tutto il territorio nazionale; quale miglior mezzo per promuovere il mercato sempre florido di novità della discografia? Eugenio Finardi, cantautore milanese, elogiava con la canzone intitolata “La radio” l’emittenza privata e le radio libere, che erano riuscite a conquistare una grande parte della società italiana allora, peraltro, sottoposta a notevoli pressioni socioculturali, con al centro il “Movimento del ‘77”, di rottura da parte della sinistra extraparlamentare nei confronti del Partito Comunista, che muoveva verso il «compromesso storico» al fine di portare al governo i comunisti assieme ai democristiani.
    A Terrasini, altro paesino in provincia di Palermo, era la voce di Peppino Impastato e dei suoi amici più cari a dare voce, dal 1° magio 1977, a “Radio Out”; una radio autofinanziata che cercò di coinvolgere le poche migliaia di cittadini vessati dai mafiosi locali, capeggiati da “don Tano seduto” com’era solito chiamare in trasmissione Impastato, il mafioso Badalamenti. Questo portare alla luce in modo spregiudicato le malefatte del mafioso nel programma “Onda pazza”, costerà la vita a Impastato stesso, che invece insieme ai suoi amici cercava di risvegliare nei cittadini quel senso di ribellione, che sarebbe dovuto essere accompagnato dalle istituzioni e soprattutto, dalla macchina della giustizia, molto tempo prima.
   La capacità dei molti conduttori radiofonici (alcuni sconosciuti ai più, in quanto operanti solo nel territorio di emittenza) era la ricerca di conquistare l’interesse delle persone, che con gli apparecchi a transistor stavano ore all’ascolto della musica trasmessa: rock, pop, jazz e la disco music, che diveniva maggiormente di tendenza; assieme all’incrocio di un intrattenimento che era «a ruota libera», a braccio, con un filo conduttore legato maggiormente alle richieste che pervenivano alle radio, da parte degli ascoltatori. La speranza era collegata, già allora, agli sponsor, infatti, con l’arrivo della pubblicità arrivavano anche i soldi per pagare i primi stipendi agli appassionati conduttori, che divenivano, man mano, dei dj professionisti, come Claudio Cecchetto, Linus finanche Jerry Scotti.
   Oltre alle trasmissioni musicali alcune radio, come ancora oggi “Radio Radicale” fondata da Paolo Vigevano alla fine del 1975, preferivano intrattenere i propri ascoltatori con dibattiti politici e trasmissioni riferite ai momenti caldi che si stavano vivendo in quegli anni Settanta. Il fine settimana, in realtà, nelle grandi città come Roma e Milano, come anche Bologna spesso c’erano “scaramucce” tra fascisti e comunisti, che davano il via a quelli che saranno detti «gli anni di piombo». “Radio Popolare” a Milano, “Radio Alice” a Bologna, “Radio Città Futura” e “Radio Proletaria” (che diverrà Radio Città Aperta) tra le principali radio che portavano avanti la cosiddetta «controinformazione». Emittenti che entravano maggiormente nel dibattito e nelle notizie di cronaca nera, cercando di dare la parola a più testimoni possibili e a più voci delle varie classi sociali, proprio per vivere maggiormente l’azione politica dei vari governi, che tempo pochi mesi si susseguivano uno con l’altro.
   Ad ampliare questa partecipazione, alla fine degli anni Settanta, l’ARCI ha cercato di realizzare quello che è stato uno  slogan molto in voga “Creare aggregazione ovunque esprimiamo opinioni, esprimere opinioni ovunque aggreghiamo”. Così in alcune città nacquero i “Centofiori”, dedicando dei locali a luoghi d’incontro, di dibattito, di aggregazione culturale, dove poter leggere tutti quotidiani e commentare insieme le notizie delle principali testate, dove poter aprire un dibattito dopo aver visto una pellicola insieme, dove poter ritirare dei libri per leggerli comodamente a casa, dove poter stare per giocare con i principali “giochi di ruolo”, dove si sono creati degli spazi musicali per avvicinare i giovani alle capacità di imparare a suonare i vari strumenti musicali, grazie alla disponibilità di qualche volenteroso “maestro”. Un’esperienza che durò fino alla metà degli anni Ottanta e maggiormente nelle varie città di provincia, di un’Italia che volgeva verso nuovi passi insieme al nuovo prendente del Consiglio, Bettino Craxi.





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