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1 aprile 2009

Avanguardie... di Sicilia


Basta con le romanticherie! Basta con la poesia e l'arte tradizionali!
incitava all’inizio del XX secolo, Filippo Tommaso Marinetti nell’esposizione del suo programma per la nascita di un nuovo movimento artistico-culturale di protesta; un netto rifiuto per il passato, della “immobilità pensosa, dell’estasi e del sonno”; una proposta per il futuro, in cui si spostava l'accento sulla straordinaria trama di corrispondenze e opposizioni, analogie e contrasti, affinità e dissonanze, che marcavano quello che ancora oggi appare tra i più interessanti ed estesi dibattiti della modernità: il Futurismo.
   Questo grido fu accolto con l’adesione al movimento da parte di giovani intellettuali provenienti anche da zone interne della Sicilia, che talora parteciparono all'elaborazione teorica del movimento stesso.
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Renato Guttuso, La Vucciria (1974)
   La redazione del documento fu interrotta l’anno prima, quando Marinetti stesso, recatosi a Messina, devastata dal terribile terremoto del 28 dicembre 1908, ne propose una ricostruzione futurista!
   All’epoca Messina era una città provvisoria, baraccata e comunque, un “terreno fertile” per far fiorire un forte movimento futurista letterario, che prese spunto con i messinesi Ruggero Vasari, Enrico Cardile originario di Novara di Sicilia e Guglielmo Jannelli originario di Castroreale Bagni a cui si avvicinarono i ragusani Luciano Nicastro, Giovanni Antonio Di Giacomo detto Vann'Antò e Salvatore Quasimodo, originario di Modica, che furono tra i realizzatori del “Manifesto dei futuristi siciliani”.
   Si evidenziarono da subito la vivacità creativa e l'importanza di alcune personalità isolane, fedeli amici di Marinetti, come: Jannelli, Nicastro, Vasari, nonché Vittorio Corona e Pippo Rizzo.
   Alla pittura, con la triade dei grandi siciliani: Rizzo, Corona e Giulio D'Anna, seguirono la fotografia, le arti applicate, il teatro sintetico, che al Futurismo si ispirarono e sui cui principi di base si esercitarono, imprimendo naturalmente l'impronta specifica della cultura siciliana, che riuscì a fondersi e a compenetrarsi con le tematiche e le tecniche più avanzate dell'avanguardia nazionale.
   La Palermo degli anni Venti, fu la culla dei pittori siciliani con Pippo Rizzo il più importante futurista siciliano, originario di Corleone, Vittorio Corona e Giovanni Varvaro. Pippo Rizzo sulla parlata futurista edificò nuove visioni del teatro dei pupi, così come della mattanza dei tonni e il giovanissimo Giulio D'Anna originario di Vallarosa (Enna) uno dei più significativi aeropittori del panorama italiano, poi, stilizzò le raccoglitrici di frutta e il paesaggio delle Eolie in un fulgore di toni arancio e giallo. Molto di queste lezioni torna, per mille suggestioni, nel più maturo Guttuso, neocubista e in molti dei ventenni d'allora che, dalla provincia italiana, poterono, infine, guardare l'Europa.
   Fu Palermo ancora, ad accogliere le due più importanti mostre che si tennero in Sicilia, nel 1927 e nel 1935, epoca in cui emergeva un giovane Renato Guttuso originario di Bagheria, legato al movimento futurista palermitano guidato da Pippo Rizzo e di cui fu allievo, che già da quando aveva l’età di tredici anni, firmava i suoi quadri dipinti su tavolette di legno, delle quali utilizzava le venature del legno come elemento decorativo, arrivando a parlare non solo un linguaggio nazionale, ma d’oltre confine e che sino ai primi anni Trenta già dalla scelta dei suoi primi soggetti critici, si delineavano le sue scelte in favore di una pittura impegnata. La città “natale” di Palermo fu molto importante nella formazione del pittore, poiché lì, giovanissimo, entrò in contatto con il mondo della pittura, come racconta lui stesso:
Tra gli acquarelli di mio padre, lo studio di Domenico Quattrociocchi, e la bottega del pittore di carri Emilio Murdolo prendeva forma la mia strada avevo sei, sette, dieci anni...
   Bagheria fu importante anche perché continuò a fornirgli per tutta la vita uno straordinario repertorio di immagini e colori, di cui, del resto, anche Marinetti ne era innamorato, arrivando a definire la Sicilia: «Colorificio del cielo».
   Affermare inoltre, che i futuristi catanesi diedero un contributo tutto personale all'interno del movimento, operando in continuo contatto con gli esponenti nazionali, che ne apprezzarono l'entusiasmo e la creatività, fu allora possibile. Il dibattito delle avanguardie catanesi dimostrò ancora una volta come la città etnea fosse capace di guidare i movimenti culturali dell'isola, manifestandosi con la pubblicazione di numerose riviste, frutto della genialità: «Pickwick» nel 1915 diretta da Antonio Bruno, Centorbi e Mauro Ittar; l'uscita successiva della «Haschisch», nel 1921, fondata da Mario Shrapnel (pseudonimo di Giovanni Melfi Maiorana), rappresentò la più significativa testimonianza del Futurismo a Catania e del suo contesto culturale, sulle cui pagine fu pubblicato il Manifesto dei futuristi siciliani, in cui si proponeva un'utilizzazione moderna del Teatro Greco di Siracusa, considerata successivamente la pubblicazione più importante; ancora, «Matelda» e «Siciliana» fondate dal poeta e scrittore catanese Giuseppe Villaroel.
   Essi videro nel nuovo movimento il modo di agganciarsi al resto del paese con originalità di pensiero, di espressioni creative, dalla letteratura alla pittura. Meritevole di menzione il percorso artistico di Domenico Maria (Mimì) Lazzaro, poliedrico artista catanese, la cui adesione fu spesso messa in dubbio dalla perdita di tutte le sue tele giovanili, ma avvalorata da una fitta corrispondenza con Tommaso Marinetti, nonché quello lirico della pittrice e poetessa Adele Gloria. Interessanti infine, i passaggi e gli incontri di Marinetti, a Catania con Giovanni Verga e, successivamente nel 1928, quello documentato dall'intervista di Vitaliano Brancati.
   Jannelli, Nicastro e Vann'Antò, fondarono a Messina nel 1915 la rivista «La Balza», successivamente ribattezzata da Marinetti stesso «La Balza Futurista», che in quegli anni si rivelò come punto di riferimento anche in ambito nazionale, dando al movimento una sua singolare anticipazione in ambito letterario, con le loro vivaci intuizioni. Il quindicinale, stampato a Ragusa ed edito a Messina, infatti, fu l’organo ufficiale del Futurismo italiano, a cavallo tra la rivista «Lacerba» e la successiva, «L’Italia futurista», che prese a modello proprio il periodico, che aveva, tra l’altro, contribuito in modo decisivo:«A sollecitare, con veemenza futurista, gli animi, nella vigilia ansiosa dell’intervento italiano nella Grande Guerra».
   Nel 1915, per volontà dello stesso Marinetti e l’intraprendenza dei due intellettuali iblei, Ragusa condivise con Messina il fregio capitale del Futurismo.
   La rivista divenne mezzo di diffusione di una poetica nella dialettica con le altre esperienze, ma anche strumento di consapevolezza teorica, oltre che di svecchiamento culturale.
   Il Futurismo siciliano altresì, riguardò notevole qualità e quantità della produzione sperimentale nel campo del “paroliberismo” e di cui il giovane Quasimodo ne fu un esponente. Inoltre, la poetica di Nicastro, bilingue convinto come Vann’Antò, si caratterizzò per una sostanziale continuità con le atmosfere simboliste. Vann’Antò, invece, tornò dal fronte “convertito” dalla devastazione incontrata, nonostante la promozione a capitano per meriti di guerra; morte e sofferenza, daranno luogo alla raccolta Il fante alto da terra e, in seguito, ai versi Si vis pacem, para pacem (da U vascidduzzu).
   Il Futurismo siciliano si caratterizzò per una sua inconfondibile solarità e per i cromatismi mediterranei, rivelando l'originalità e il significato portante nella modernizzazione dei processi culturali della Sicilia e dell’Italia negli anni tra le due guerre.
   L'essere italiani, l'essere siciliani con tutto il peso di una tradizione riconosciuta e per nulla rifiutata, fu per quei giovani, un valore da gettare nella modernità internazionale senza remore e senza complessi.
   Il movimento dei futuristi, celebrato nella sua essenza, rimase, infatti, la spinta primitiva capace di attrarre e sedurre intere generazioni contemporanee, per l'impulso vitale che filtrò dalle seduttive visioni multicolori, frammentate nell'esplosione di un'inestinguibile energia propagatrice e che con il loro operare apportarono un decisivo impulso alla modernizzazione dei processi culturali in Sicilia.
Opere famosissime, all'epoca considerate di totale rottura, sono oggi diventate i grandi ‘classici' del Novecento internazionale.
   Se nel 2004 la morte dell'artista Osvaldo Peruzzi è stata salutata come la morte dell'ultimo futurista, in Sicilia, la corrente si spense a fine millennio, con la morte del poeta godranese Giacomo Giardina, spentosi a Bagheria nel 1994. Inteso il poeta pecoraio, dagli anni Venti s’impose nell’ambiente culturale palermitano con liriche ispirate alla vita pastorale, alla campagna di Bagheria e di Godrano.





© 2013
Per citare questo articolo
G. La Rosa, Avanguardie... di Sicilia, in "Il tempo la storia. L'anno zero dell'Italia giovane e creAttiva", R. Bonuglia (a cura di), Roma, Edizioni Il Tempo la Storia, 2013.

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