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6 ottobre 2008

Salvatore Quasimodo: una visione della vita senza illusioni


Salvatore Quasimodo originario di Modica, allora in provincia di Siracusa, vi nacque all’inizio del XX secolo, in quella casa a mezza costa, fra la via Posterla e la via Castello, all'ombra della torre merlata di Tommaso Campailla, dove quest’ultimo, filosofo, poeta e scienziato, due secoli prima aveva ospitato l'amico George Berkeley.
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Lapide in via Posterla 84 Modica
   Subito dopo il catastrofico terremoto del 28 dicembre 1908 andò a vivere con la famiglia a Messina, dove il padre fu chiamato per riorganizzare la locale stazione delle Ferrovie dello Stato. Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari. La nonna paterna era figlia di profughi greci originari di Patrasso; quest’origine potè avere inciso negli interessi futuri di Quasimodo, così come il profondo affetto che lo legò alla Sicilia, influenzata dalla cultura ellenica.
   Ricorre il 40° anniversario dalla scomparsa di Salvatore Quasimodo, considerato una delle figure più alte del Novecento poetico, un interprete profondo della condizione umana, nel segno di una visione della vita senza illusioni. Un poeta che nel suo cammino cercò di ritagliarsi uno spazio, scegliendo una “siepe come confine del mondo”; scrisse:
La mia siepe è la Sicilia: una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomie e telamoni spezzati sull'erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto da secoli per i figli uccisi, e furori contenuti o scatenati, banditi per amore o per giustizia.
    Il motivo dell'isola apparve tanto più radicato, poiché egli, non diversamente da altri suoi conterranei, lo viveva nell'intensità del distacco che lo portò fuori della Sicilia, già dal 1919.
L’attività poetica di Salvatore Quasimodo cominciò negli anni Venti e nei suoi versi, le sue immagini del passato non suscitavano desideri ma tristezza, un’enorme sconsolata malinconia, riscontrabile in: Angeli Albero, Acquamorta, Dolore di cose che ignoro, Mai ti vinse, Notte così chiara, Rifugio d'uccelli notturni, Anche mi fugge la mia compagna e In me smarrita ogni forma.
    Descrisse l'isola, che rivisitata dalla memoria divenne raffigurazione di un luogo incantato, inchiodato nel tempo, in contrapposizione all'aridità del presente in cui viveva. Una struggente nostalgia della Sicilia, nei versi: Vento a Tindari, Ariete, Terra, Spazio, Specchio, Vicolo, I ritorni; il rimpianto per un paradiso perduto, che s’identificava con l'incorrotta infanzia dell'uomo e del mondo, che ognuno sente di avere smarrito e aspira a ritrovare.
Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera
    Il rapporto del poeta con Dio in: Si china il giorno, Nessuno; i sentimenti verso una donna in: E la tua veste bianca, Antico inverno, S'udivano stagioni aeree passare, sono i temi che ricorrono più frequentemente nella sua prima raccolta Acque e Terre, pubblicata nel 1930, che indicò già l'instaurazione di un metodo compositivo nuovo.
   Alessandro Bonsanti allora sindaco di Firenze, pubblicava sulla rivista fiorentina «Solaria» diretta dal 1930 al 1933, tre poesie, scommettendo su quel poeta sconosciuto che tanti anni prima era fuggito di notte, con un mantello corto e alcuni versi in tasca. Un passaggio storico che Quasimodo non manca di sottolineare: «Non mi par vero di essere anch'io solariano».
   Nel 1932 pubblicò la raccolta Oboe sommerso che vinse il Premio dell’Antico Fattore, permettendogli di essere accolto con grande interesse dalla critica.
Furono proprio questi gli anni in cui alla poesia di Quasimodo si attagliò di più la definizione di "ermetica", che indicava con questo termine non una vaga scuola poetica, ma un preciso lavoro personale verso un’espressione “difficile”, di una contabilità frammentaria e chiusa, incline alla soppressione dei più ovvi legamenti sintattici a favore dell’uso frequentissimo dell’analogia.
   Gli anni milanesi lo portarono alla pubblicazione nel 1936 di Erato e Apòllion e nel 1942 uscì per i tipi di Mondadori, Ed è subito sera, la raccolta, in cui furono riuniti i versi dei precedenti anni, che ebbero un gran successo: un libro che fu un’antologia esemplare, in quanto non tutti i versi delle precedenti raccolte furono accettati e l’ordine di essi fu radicalmente mutato.
   L'attività di traduttore inoltre, gli consentì non solo l'affinamento del soggetto poetico, ma anche un colloquio “aperto” con gli antichi classici: Catullo, Sofocle e anche il Vangelo di Giovanni che tradusse dal greco, fino a Shakespeare dall’inglese, che furono proposti attraverso un’interpretazione personalissima, tanto più che si parlò di testi rivissuti attraverso una sensibilità moderna e una parola “essenziale”.
   L’esperienza della Seconda guerra mondiale lo avvicinò ancora di più all’interesse per l’utilizzo di parole comuni, comprensibili ai più, al posto di quelle espressamente ricercate. In Milano, Agosto 1943, la sua voce si levò sulle rovine e sul dolore della guerra, per condannare la barbarie, l'umanità imbestialita e diventata come indicò: «Peggiore di Caino»; la parola acquistò un timbro risentito, suonando netta e senza incertezze.
   Dominarono i grandi temi collettivi: l'occupazione tedesca, la Resistenza, le lotte sociali; la Sicilia fu realisticamente rappresentata come “una terra lontana nel Sud”.
   Una vita travagliata da diverse relazioni familiari, ma anche da altrettanti spostamenti, lo portò a conoscere numerosi letterati dell’epoca tra cui Elio Vittorini che divenne suo cognato ed Eugenio Montale.
   Nel 1953 divise con il grande poeta inglese Dylan Thomas il “Premio Etna–Taormina”, nel 1958 ricevette il “Premio Viareggio” per la raccolta La terra impareggiabile. Dopo vari e importanti apprezzamenti la critica più qualificata lo considerò uno degli esponenti più rappresentativi della poesia del Novecento, al punto che fu insignito del “Premio Nobel” per la Letteratura[1], non senza vivaci polemiche e astiosità tra gli addetti ai lavori. Fu il quarto italiano, dopo Carducci, Deledda e Pirandello, ad ottenere questo massimo riconoscimento culturale per il valore universale della sua poesia.
   Tra il 1959 e il 1965 viaggiò in Europa e nelle Americhe, svolgendo un’importante funzione di collegamento e interscambio culturale. Nel 1960 ricevette anche la laurea honoris causa dall'Università di Messina e da quella di Oxford nel 1967.
Fu nel Giugno del ‘68 che abbandonò il mondo terreno, per lasciare ai posteri le sue opere.




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[1] Quello che colpì il Comitato, fu la capacità di Salvatore Quasimodo di interpretare la vita morale dei suoi concittadini: «Nella quotidiana esperienza d’innumerevoli tragedie e nel confronto costante con la morte», affermò Andres Österling nel suo “discorso di presentazione”. «Nelle sue poesie, si possono trovare citazioni bibliche a fianco di allusioni alla mitologia classica, quella mitologia che è una costante fonte d'ispirazione per un siciliano. La carità cristiana è la qualità di base della sua poesia che, nei momenti di più grande ispirazione, ci abbraccia universalmente». [Stoccolma, 10 dicembre 1959].

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Salvatore Quasimodo: una visione della vita senza illusioni di G. La Rosa 

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