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11 agosto 2019

Dalla ABCD alla Purfina (6)

 Dall'A.B.C.D. alla Purfina

L’A.B.C.D. l’origine della raffineria di Roma che portò alla Permolio e gli aspetti sociali


Nella zona limitrofa all’attuale stazione di Trastevere ‒ compresa tra la curva di strada
Piano di Pietro Papa, Istituto Geografico De Agostini di Novara, 1930
ferrata della Roma–Pisa, la via del Fornetto (toponomastica di riferimento industriale) e la via Portuense, proseguendo per quella lingua di terra nella via della Magliana Antica e sovrastata da via Quirino Majorana ‒ sorgeva la cosiddetta «raffineria di Trastevere», le cui ciminiere erano citate da Pasolini in Ragazzi di vita: allora la raffineria più grande dell’Italia centrale.


    Vi si accedeva dalla via Portuense, dalla salitella che, con direzione Monteverde, sta alla destra del cavalcavia, oggi chiamata via pozzo Pantaleo. A fianco c’era il deposito di olii lubrificanti della Clarenty, mentre di fronte si trovava un deposito di carburanti dell’americana Shell.
    Nella topografia locale l’intera area che giunse al Tevere fu indicata come il “Piano di Pietra Papa”, nello specifico il fossato Pozzo Pantaleo (cimitero di San Giulio papa) e col passare del tempo l’area interessata dalla raffineria fu detta «l’isola».
   Dalla data di costituzione della Società asfalti bitumi catrami e derivati – A.B.C.D., nel dicembre 1917, nell’area nacquero dei magazzini di stoccaggio dei bitumi provenienti da Ragusa, che nell’arco dei dieci anni successivi si trasformarono in stabilimenti industriali.
   Il 1927 fu una data importante, poiché fu l’anno di ordinamento delle coltivazioni minerarie attraverso il regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, concernente le norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel regno. Il decreto, infatti, disciplinò la classificazione delle coltivazioni, la ricerca mineraria, le concessioni e il suo esercizio temporaneo, la cessazione, i rapporti di vicinanza e i consorzi minerari, la distinzione tra miniere e cave, nonché gli aspetti penali. La regolazione che apportò il decreto diede, quindi, un impulso alla formazione di nuove società nel settore, con l’ausilio di capitali privati.

   La raffineria di Trastevere dell’ABCD dal 1927, quindi, grazie all’apporto finanziario dei conti Miani, ebbe un notevole incremento, al punto che da questa raffineria di via Portuense fu prodotto l’asfalto per la costruzione delle strade in Etiopia, a seguito della convenzione stradale e del patto d’amicizia stipulati da Mussolini col negus Hailé Selassié, nel 1928.
   Anche per quanto d’interesse, agli inizi degli anni Trenta, nell’ABCD si parlò di privatizzazione, difatti, fu pronta ad acquistare la Foreign oil corporation, ma in questo periodo il regime non permise l’accesso di multinazionali estere sul territorio italiano, tanto che al consiglio d’amministrazione si decise di cedere definitivamente la quota di maggioranza ai conti Miani, per la raffineria di via Portuense.     All’indomani della suddetta normativa di regolamentazione del 1927, i conti friulani Giuseppe, Luigi e Orlando Miani di Angoris costituirono la Società anonima permanente olio ‒ Permolio, con sede in Milano, Via Giovanni Fattori 21 (Musocco).
   La Permolio fu la protagonista della fase iniziale di sviluppo industriale della raffinazione nazionale e, sulla base delle volontà del consiglio d’amministrazione, investì in altri
stabilimenti a Genova Bolsaneto, che divenne la «sede nazionale del petrolio» per via del porto, considerato il principale approdo per il greggio importato in Italia.
   Eppure, durante la dittatura fascista, nonostante il forte impegno, dovuto alla politica autarchica, la produzione di petrolio in Italia subì forti oscillazioni, con un massimo di 21.000 tonnellate nel quinquennio 1931/35 e ancora, dopo l’aggressione all’Etiopia, a seguito delle sanzioni internazionali, l’Ufficio speciale combustibili liquidi impose l’obbligo dal 26
febbraio 1936, di miscelare un minimo di 20% di alcol in tutte le benzine destinate al consumo sul territorio italiano.
   Nel 1938, comunque, la Permolio nelle sue raffinerie riuscì a produrre oltre 70.000 tonnellate di carburanti raffinati, contribuendo allo sviluppo dell’industria automobilistica
italiana, tenendo in considerazione altresì, le necessità militari del momento.
   L’area industriale romana, che fu collocata in zona Ostiense a partire dall’inizio del XX secolo, in questa epoca fu riorganizzata dal regime, che fece convertire le industrie civili insediatesi in quel territorio, per le produzioni belliche in occasione dell’avvento del conflitto.
   La destinazione industriale dell’area viene finalmente ufficializzata nel 1909 quando con il Regio Decreto n. 81, del 29 agosto, entra in vigore il Piano Regolatore a firma dell’Ing. Edmondo Sanjust di Teulada.
    Nel Piano viene identificata come zona industriale una vasta area a sud della città compresa tra le mura Aureliane e la via Appia Antica fino all’Ardeatina ad est e la ferrovia Roma-Civitavecchia ad ovest.
   Nato sotto la giunta di Ernesto Nathan (1907 - 1913), il Piano generale del 1909 nel suo insieme, però, non diede descrizioni analitiche sugli sviluppi e, nello specifico, furono indicate soltanto generiche destinazioni a uso industriale nel Piano di Pietra Papa.
   Nathan si adoperò per applicare uno dei punti del programma della sua giunta: piano urbanistico e case popolari, anche al fine di contrastare un gruppo ristretto di speculatori fondiari, molto legato al Vaticano. Si scontrò con i grandi proprietari terrieri e immobiliari e, soprattutto, si alzarono i toni quando la giunta decise di applicare le “tasse sulle aree fabbricabili” e quando presentò il “piano edilizio”, nel tentativo di evitare la cosiddetta «macchia d’olio», ossia lo sviluppo incontrollato delle costruzioni, secondo le direttrici dell’interesse speculativo legato al Vaticano.
   Ebbe, tuttavia, maggior sviluppo principalmente l’edilizia scolastica, con l’apertura di otre cento nuovi asili e con l’intento di dare spazio allo sviluppo delle scuole professionali: per operai addetti al gas, elettricisti, per assistenti edili, per muratori, operai meccanici; cercò di abbinare scuole e industrie private, mettendo in collegamento questi due ambiti. In un rinomato discorso del 20 settembre 1910, in occasione della celebrazione della breccia di Porta Pia, disse: «Nella Roma di un tempo non bastavano mai le chiese per pregare, mentre invano si chiedevano le scuole; oggi le chiese sovrabbondano, esuberano; le scuole non bastano mai! Ecco il significato della breccia, cittadini! Nessuna chiesa senza scuola! Illuminata coscienza per ogni fede, ecco il significato della Roma d’oggi».
   Per quanto riguarda il piano industriale, fu maggiormente l’assessore Giovanni Montemartini a dare impulso al contrasto rispetto ai monopoli privati, avviando il modello delle aziende municipalizzate. Il sindaco Nathan e quel che restò della giunta diedero le dimissioni il 4 dicembre 1913 e già nel 1916 il Comune affidò l'incarico a una commissione tecnica di predisporre le prime revisioni al piano urbanistico. Fu nel 1923, che incaricò gli architetti Gustavo Giovannoni, membro del Consiglio superiore di antichità e belle arti e Marcello Piacentini, membro dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura, di studiare un progetto di sostituzione del piano di Sanjust, che vide già nel 1920, al primo posto, lo smantellamento dei villini e la costruzione di palazzine e ora, tra l’altro, la sistemazione della zona industriale riguardante le vie Ostiense e Portuense.
   Altre modificazioni si ebbero prima della definitiva entrata in vigore del Piano regolatore di Roma, nel maggio 1931: ci fu una variante generale nel 1925/26, di conferma delle attività industriali nell’area Ostiense-Pietra Papa e un secondo provvedimento con la legge 20 settembre 1928, n. 2427, di estensione del confine della zona industriale di Roma, che incluse la Magliana.   Per quanto riguardò la situazione nazionale del petrolio, già nel 1924, l’onorevole Matteotti intuì circostanze a dir poco losche, che interessarono anche la persona di Vittorio Emanuele III.
   Nel 1922, l’anno in cui Mussolini formò il suo governo, l’80% del mercato petrolifero del Regno d’Italia fu gestito dagli americani della Standard oil company, tramite la Società italo-americana pel petrolio – SIAP, mentre il restante fu fornito dalla filiale italiana della Royal dutch shell group. Nel 1923 la Anglo-Iranian oil company, società petrolifera del governo britannico, decise di scalzarne una fetta con un’efficace concorrenza, peraltro gradita; del resto anche Mussolini aveva chiaro che il petrolio non fosse né fascista, né antifascista, ma straniero, purtroppo.
   Per la firma della convenzione da parte del Ministero dell’economia nazionale, gli americani fecero sedere al tavolo la Sinclair oil and refining corporation, che operò in Italia come prestanome della Standard oil, nel contesto della SIAP. Un’operazione che fu definita «una conclusione moralmente inaccettabile» dalle opposizioni al regime, poiché legittimò notevoli privilegi a favore della compagnia straniera che operò in disciplina monopolistica, con notevoli agevolazioni fiscali concesse da Mussolini in persona.
   Proveniente, più che altro, da uno scandalo nel proprio territorio statunitense, essendosi appropriata di un giacimento petrolifero dichiarato riserva strategica per la copertura della difesa navale; ottenuto attraverso la corruzione del capo Dipartimento minerario americano, che ne subì la condanna. Sugli scandali alimentati dalla Sinclair oil aveva posto le attenzioni del caso l’onorevole Giacomo Matteotti, i quali avrebbero coinvolto anche la corona, per un ingente capitale trasferito all’estero – soprattutto in Svizzera – e frutto, anche, di “incentivi” forniti dalla società statunitense.



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L'immagine riproposta da Tracce Storiche è uno spaccato della Pianta di Roma ed è tratta da Roma Ieri Oggi



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