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1 settembre 2019

Dalla ABCD alla Purfina (8)

Dall'A.B.C.D. alla Purfina

L’A.B.C.D. l’origine della raffineria di Roma che portò alla Permolio e gli aspetti sociali





Parlando sempre di “costume”, è possibile affermare che questo non avvenne certo per lo sviluppo della moda, che, a differenza, fu per l’Italia un’occasione di espansione d’oltralpe in questo decennio. I sarti divennero degli stilisti, attenti osservatori dei costumi societari ma, soprattutto, dei comportamenti, esaltati dalle attrici più in voga che l’industria del cinema pose in primo piano nei grandi schermi, sviluppando un’esplosione della creatività: una capacità tipica italiana. La moda cercò di seguire gli impulsi del popolo italiano, che con la voglia di vivere, sognare, sperimentare, ostentare, dimostrò una continua ricerca del benessere. Si accorciarono le gonne come pure i capelli, si ricorse ad abiti pratici e funzionali, al punto che alcune donne iniziarono a indossare anche i pantaloni.
   Uno dei primi esempi di “globalizzazione” si ebbe già alla fine della guerra con Christian Dior, che influenzò il settore con il new look: una collezione che presentò come suo esponente il tailleur “Bar”, modellato su di un manichino più “curvilineo”, al punto da rilevare maggiormente la vita, il volume dei fianchi e che mise in evidenza il seno. Forme sinuose che furono importate anche in Italia, per donare alla donna la femminilità e la raffinatezza trascurati nel percorso bellico. A contrastare la moralità, quindi, ci pensò una certa moda che esaltò la figura femminile, rendendola viva: le spalle si spogliarono, il seno fu messo in risalto, la vita ridivenne minima e i fianchi furono esaltati da gonne gonfie. Le mamme, che dovettero sopportare i sacrifici della guerra, cedettero il passo alle figlie che guardarono al futuro e alla prosperità che la nazione si apprestò a “dispensare”. A Roma iniziarono copiando Parigi, ma l’impegno portò a superarla.
   La giornalista Maria Vittoria Rossi, in arte Irene Brin «la contessa Clara», intuì che Roma fosse diventata il centro del mondo e cercò di promuovere e incoraggiare la creatività dei sarti italiani, dagli Stati Uniti, puntando sul made in Italy affinché fosse riconosciuto nelle principali piazze della moda; come dalle Sorelle Fontana, che realizzarono l’abito da sposa per Linda Christian.
   Si alimentò anche una nuova corrente giornalistica, quella delle riviste illustrate che seppero dedicare all’universo femminile una notevole attenzione, proponendo modi di essere, ma, soprattutto, modi di apparire.
   Nelle varie famiglie, d’altro canto, i vestiti dei fratelli più grandi furono adattati per quelli più piccoli e alcuni capi di uso quotidiano furono “tenuti in vita” da un insieme di toppe e rammendi, fino a che fosse possibile indossarli con dignità.
   Sul piano politico il 7 giugno del 1953, gli italiani furono chiamati alle urne per rinnovare la legislatura con una grande novità rispetto al voto del 1948: il vecchio sistema proporzionale “puro” lasciò il posto a una nuova legge elettorale, che previde un consistente premio di maggioranza: il 65% dei seggi, al gruppo di liste che avessero raggiunto almeno la metà dei voti più uno.
   Per quanto riguardò la raffineria, invece, dopo i risultati elettorali, la giunta comunale fu riunita e quella sera si presentò anche un nutrito gruppo di lavoratori della Permolio, per avere risposta sull’interpellanza all’ordine del giorno fatta dal consigliere Guglielmo Ceroni, democristiano, riguardo alla permanenza della raffineria di petrolio nel centro abitato dei quartieri Gianicolense e Portuense. Ceroni ricordò che il testo unico delle leggi sanitarie non abbia consentito quel tipo di industria, al centro di una zona così densamente popolata:
   Bisogna aggiungere – disse Ceroni – che la Permolio ha costruito i suoi nuovi impianti in un quartiere che è stato scelto come sede ospedaliera del S. Camillo, del Forlanini, del lazzaretto comunale Spallanzani e del sanatorio militare Cesare Battisti [della Croce Rossa Italiana, nda]. Gli inconvenienti sono gravissimi, perché le esalazioni che provengono dalla Permolio invadono non solo le abitazioni di Gianicolense, Portuense, di una parte di Testaccio e di una zona di Trastevere, provocando malesseri in alcuni casi gravi, fra gli abitanti di questi quartieri, ma colpiscono anche gli ammalati ricoverati negli ospedali.
   Contrappose l’assessore professor Giovanni Borromeo, anch’egli democristiano, poiché, a seguito delle indagini svolte dall’Ufficio d’igiene del Campidoglio su dei verbali emessi dai vigili del fuoco, circa la necessità di aumentare la sicurezza degli impianti, fu dichiarato che le esalazioni non avrebbero compromesso la salute delle persone.
   Un mese dopo, nella seduta notturna del 7 luglio 1953, dopo la mezzanotte, ancora dieci consiglieri dovevano pronunciare il proprio parere sul progetto di spostamento della raffineria da via Portuense. Il segretario dell’Unione industriali del Lazio, Carlo Latini, consigliere democristiano, si espresse fortemente per la permanenza degli stabilimenti di raffineria nel quartiere, a seguito dell’avvenuta concessione di tutte le licenze e permessi da parte del Comune di Roma alla società, invitando, al più, la giunta comunale a emettere direttive affinché la Permolio si adoperasse a posizionare apposite apparecchiature utili a contenere le esalazioni, principale oggetto del trasferimento. Peraltro, la Permolio fu invitata a contenere le esalazioni con un provvedimento dell’assessore Borromeo, che indicò entro il 20 giugno la data ultima di attuazione, ma che non fu rispettata.
   Di diversa opinione il consigliere Ceroni che, invece, pose la problematica dal punto di vista sanitario, provando la tossicità delle esalazioni in parola con referti medici ed evidenziando che per le vicinanze degli ospedali sulla via Portuense, bisognasse applicare la legge sanitaria di divieto di ubicazione di detta industria nelle zone abitate. A conforto di queste motivazioni intervenne l’assessore Giovanni L’Eltore, medico tisiologo, che affermò la gravità per i malati di tubercolosi del lazzaretto Spallanzani, di trovarsi a circa cinquanta di metri dalla raffineria, evidenziando come ciò costituisca l’antitesi alla cura.
Attraversarono tutto il giardino, dove in quel momento si sentiva la puzza del gas della Permolio, con la fiamma che rosseggiava nel cielo, rosso per il tramonto, poco giù, dietro la stazione di Trastevere.
(...) Poi qualcosa cambiò: si sentiva che fuori non era più scuro scuro, che un po’ di luce, leggera, stava sbiancando l’aria. O era un’impressione: forse era solo la Permolio che faceva più chiaro, con la sua fiamma che sfarfallava in mezzo al cielo.
(Pasolini, Una vita violenta)
   Secondo l’Ufficio d’igiene comunale, con la relazione del professor Mazzetti, gli insopportabili odori emanati dalla raffineria non avrebbero provocato danni alle persone. Nonostante ciò, l’autorità sanitaria, in base alle vigenti norme sulle industrie insalubri, chiese alla Permolio di provvedere a filtrare in modo adeguato le esalazioni, in caso contrario sarebbero iniziate le pratiche per ottenere il trasferimento dello stabilimento «in località isolata nella campagna e lontana dalle abitazioni», in virtù delle disposizioni indicate ai sensi dell’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie in vigore.
   Molti abitanti dei quartieri coinvolti – Portuense, Gianicolense e Trastevere – subirono continui malesseri e incessanti sensi di nausea, poiché questi non si sarebbero potuti eliminare del tutto, sebbene la società abbia provveduto a installare dei filtri. Oltre a questa fu sempre presente un’altra preoccupazione per la popolazione locale: il pericolo d’incendio ed esplosione dei serbatoi o di reparti di lavorazione.
   Continuò pressante, quindi, il problema del trasferimento di uno tra i più grandi complessi industriali della capitale, che avrebbe inciso per ben 2,5 miliardi di lire sul bilancio della Permolio, amministrato, allora, dal conte di Carrobio; ma, allo stesso tempo, la città non avrebbe voluto la chiusura di un polo industriale che avrebbe causato la perdita di un settore, peraltro, non molto sviluppato nella capitale, nonché la perdita di circa 500 posti di lavoro.
   All’epoca, Roma aveva una buona rete ferroviaria che raggiungeva molti centri industriali e commerciali per il rifornimento dei magazzini, il porto mercantile di Civitavecchia e numerosa manodopera, anche specializzata e, pertanto, la benzina era necessaria al ciclo produttivo della capitale. Le abitazioni erano, d’altro canto, un bene molto ricercato e le necessità di rivedere il piano regolatore si facevano sempre più impellenti.
   Sulla scia della ripresa infrastrutturale e di riorganizzazione del territorio aumentò la necessità di rivedere l’ubicazione di una raffineria nata ai margini della metropoli, ma che iniziò a trovarsi in una posizione urbanistica non molto “difendibile”; avendo, nondimeno, i tecnici della società, in settembre, sostituito gli impianti per la distillazione dei prodotti del catrame e incrementato l’attività di raffinazione degli oli minerali, aumentandone i miasmi e inducendo, di conseguenza, i cittadini dei quartieri limitrofi a scrivere pressanti lamentele al prefetto di Roma Antonio Antonucci.
   Nel frattempo allargando lo sguardo, sognò l’Italia degli anni Cinquanta: semianalfabeta, contadina e coi denti guasti, un’Italia che mangiò poca carne, parlò in dialetto ma andò al cinema, anzi al «cinematografo», dove per spalancare gli occhi sul sogno spese 93 miliardi di lire l’anno. Un’Italia che acquistò dischi (nel 1951, anno del primo festival di Sanremo, se ne vendettero oltre tre milioni e nel 1958 si arrivò a venderne diciotto milioni), che si ritrovò al bar a bere coca cola e che si nutrì delle immagini dei settimanali, scoprendo che a Roma – anche a Capri, Taormina o a Portofino – fascino, bellezza, divismo, celebrità e pettegolezzo sembrarono essere al centro di tutto. Al centro di un mondo da sognare.
   Nella nascente società dell’immagine, davanti a una realtà quotidiana ancora difficile ma decisamente ottimista, il cinema, gli amori, i vizi e gli scandali dei divi furono seguiti con passione sui rotocalchi. Le nuove storie d’amore e i divorzi trovarono una cassa di risonanza eccezionale, diventando dei veri e propri fenomeni mediatici.
   Il matrimonio di Linda Christian e Tyrone Power, a Roma nel 1949; nello stesso anno la stampa gridò allo scandalo nel registrare la passione tra Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, che nacque sul set di Stromboli terra di Dio; nel 1954 Vittorio Gassman divorziò dalla seconda moglie Shelley Winters e iniziò una storia con Anna Maria Ferrero; nel 1955 Lucia Bosè, dopo la love story con Walter Chiari, si innamorò del torero Luis Miguel Dominguin; nel 1956 il matrimonio tra Grace Kelly e Ranieri di Monaco fu trasmesso in diretta televisiva, mentre Maria Callas lasciò il marito Battista Meneghini per l’armatore greco Aristotele Onassis. E ancora, nel 1958 con la sconosciuta ballerina turca Aiché Nanà
immortalata in una famosa fotografia “senza veli”, che fece il giro del mondo, quando nella serata del 5 novembre, all’interno del ristorante ‘Rugantino’ si festeggiò il venticinquesimo compleanno della contessa Olghina di Robilant, la temperatura si alzò al ritmo del cha-cha-cha, musicato dalla ‘Roman New Orleans jazz band’ di Carlo Loffredo. Certificazione della Dolce vita romana a cui fu contrapposta la moralità, che si cercò di mantenere sempre in primo piano, nonostante la stampa scandalistica.

   Furono solo alcuni degli eventi di quegli anni, che i media contribuirono a fissare nell’immaginario collettivo dell’epoca, e non solo.
   Tutto questo non restò solo sulle pagine dei giornali, contribuì, piuttosto, a un cambiamento sociale, che ancora oggi ha una sua eco.
   L’avvio della prima programmazione televisiva da parte della Radiotelevisione italiana – RAI, il 3 gennaio 1954, preparò, di certo, il terreno all’eccellenza nello sviluppo dell’essere umano: la comunicazione.
   Per alcuni una continuazione della radio, dove, in quel periodo, si fecero strada i vari cantanti quali: Claudio Villa, Adriano Celentano, Domenico Modugno, Fred Buscaglione, Edoardo Vianello, Johnny Dorelli, nonché Ornella Vanoni e altri. Come, nel percorso cinematografico ebbero successo le pellicole con Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Alberto Sordi, Renato Salvatori, Amedeo Nazzari, con Peppino De Filippo e anche Renato Rascel e di tanti altri, per non lasciare per ultimo Totò De Curtis.
   Al cinema il successo dovuto anche ai vari temi di natura sociale che furono offerti al pubblico diretti da prestigiosissimi maestri del calibro di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Pietro Germi, Luigi Zampa, Luigi Comencini, Dino Risi, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, per citarne alcuni; di descrizione delle varie fasi di ripresa in un dopoguerra tutto in salita, ma che fortunatamente, nonostante il conflitto subito nel nostro territorio, numerosi stabilimenti dell'industria rimasero esclusi dai bombardamenti e riuscirono a riprendere le produzioni delle varie merci, anche attraverso delle riconversioni industriali di alcuni grandi stabilimenti.
   In parallelo, quasi in senso di forte reazione nei confronti dei sacrifici dovuti subire durante la guerra, dopo la metà degli anni Cinquanta, il principale leitmotiv fu «la Dolce vita», uno stile reso, poi, famoso nel mondo dall’omonima pellicola di Federico Fellini, che nel 1960 gli valse la “palma d’oro” al festival di Cannes. Un periodo in cui – in piena marcia verso quello che fu descritto come il micro miracolo economico italiano, cosiddetto «boom» dal 1958 al 1963 – fu esasperato il personale effervescente edonismo di alcuni personaggi, che diede spazio a notti brave nella strada divenuta il “salotto” della capitale, la nota via Vittorio Veneto.
   Un avvio dato dalla pellicola Vacanze romane (1953) di William Wyler, con Audrey Hepburn, Gregory Peck e Eddie Albert, in cui si rese evidente la scenografia realizzata attraverso la quotidianità romana nei suoi vicoli, come nel centro storico. Col trascorrere del tempo, nella realtà si continuò con pettegolezzi scandalistici che emersero nelle riviste, riguardanti informazioni assunte anche stando seduti nei locali, che si attrezzarono opportunamente per offrire ai frequentatori serali, ma soprattutto notturni, la possibilità di incontri ideali.
   Sempre per quel senso di “comunicazione” che si diede seguito a quell’estro tipico italiano che avviò business dettati dalla vitalità creativa. Furono, sicuramente, tra questi incontri che nacquero gli scoop maggiormente seguiti dal pubblico “assetato” di notizie festose, abilmente elaborate da bravi giornalisti; anche, al fine di essere in totale contrasto con le asperità riproposte dalla vita quotidiana della maggior parte delle persone.
   Si sviluppò in questo periodo la caccia da parte dei «paparazzi», in altre parole fotografi specializzati cui fu affibbiato questo soprannome, appunto preso da un personaggio della pellicola di Fellini, che s’impegnarono notte e giorno nel fotografare attrici e attori del cinema a passeggio per il centro, via Veneto, piazza di Spagna, come a Campo de’ Fiori e tra i vicoli di Trastevere o in occasioni di vita privata, sperando di poter cogliere scatti particolarmente compromettenti.
   Un altro motivo per osservare con rispetto ciò che avviene o può avvenire in Italia, è che gli italiani sono stati l’avanguardia dell’Europa, o meglio dello sviluppo europeo, anche se ci si limita a esaminare gli ultimi cento anni: hanno raggiunto l’unità nazionale dieci anni prima dei tedeschi, hanno elaborato il fascismo e, in dieci anni, l’hanno insegnato ai tedeschi; negli anni del dopoguerra hanno adottato, con straordinario entusiasmo, gli imperativi di quella che in seguito venne chiamata società consumistica, ma ne furono già delusi diversi anni prima che gli arabi interrompessero il flusso di petrolio a buon mercato su cui questa società si basava.
   Ciò che riusciranno a evolvere da quanto rimane di tutte queste esperienze è il punto che rende così affascinante l’esperienza italiana.
   Col passare del tempo, però, iniziò una parabola discendente di un ambiente che, con l’ingresso nel decennio successivo, non fu più così.


N.B. per facilitare la lettura on line sono state omesse le note, che, invece, saranno complete nell'e-book che sarà possibile scaricare...


La fotografia riproposta da Tracce Storiche è uno spaccato del famoso ballo fatto da Aiché Nanà ed è tratta da Wikipedia

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