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13 ottobre 2019

Dalla ABCD alla Purfina (12)

Dall'A.B.C.D. alla Purfina

Il passaggio dalla Permolio alla Purfina nella Roma degli anni Sessanta





L’anno successivo iniziarono a circolare notizie riguardo ai lavori di costruzione dei nuovi impianti dello stabilimento di raffineria a Ponte Galeria. La Colombo costruzioni di Lecco si occupò delle opere edili dei nuovi stabilimenti, mentre la cronaca si occupò degli incidenti di percorso:
   Un giovane operaio è rimasto ustionato mentre lavorava per lo scoppio del becco della fiamma ossidrica. Si chiama Mario Di Pietrantoni ha 23 anni e abita in via Ventimiglia 19. L’incidente si è verificato nel cantiere della costruenda raffineria della Purfina a Ponte Galeria, in via di Malagrotta. Di Pietrantoni stava tagliando una lamiera con la fiamma ossidrica quando improvvisamente è scoppiata la manichetta del cannello; il giovane è stato investito da un getto di liquido incandescente rimanendo ustionato alle mani e in altre parti del corpo.
   Il Di Pietrantoni si è accasciato a terra urlando per il dolore e richiamando l’attenzione dei suoi compagni di lavoro. Le prime cure sono state portate direttamente nel cantiere, ma poiché le ustioni apparivano gravi si è provveduto a trasportare il ferito all’ospedale S. Eugenio. Verso le 11 l’operaio è stato ricoverato nel reparto «plastica» dell’ospedale dove i medici gli hanno riscontrato ustioni di primo, secondo e terzo grado all’emitorace, alle mani, al fianco, alla gamba sinistra e un grave stato di choc.
   Sembra che l’incidente sia stato provocato dalle pessime condizioni dell’attrezzo con il quale il Di Pietrantoni era costretto a lavorare. La manichetta del cannello ossiacetilenico era infatti molto logora e con ogni probabilità non ha tollerato l’alta temperatura della fiamma. Soltanto per un caso fortunato l’incidente non ha procurato ferite ancora più gravi e dolorose al malcapitato.
   Sciagura sul lavoro ieri a Fiumicino: un giovane operaio è morto, folgorato da una scarica di oltre 8.000 volt. Benito Crusco, 24 anni, era sposato da appena 5 mesi e abitava con la moglie Franca Di Costanzo, 21 anni, in un modesto appartamento di via dei Veienti 14 a Fiumicino.
   La disgrazia è avvenuta alle 18,30 in via di Largo Traiano, proprio a due passi dalla casa dell’operaio. «Stavamo scaricando dei tubi – ha raccontato un compagno di lavoro – Benito si è avvicinato alla gru… l’ha sfiorata; il “braccio” della macchina toccava i fili dell’alta tensione, noi non ce ne eravamo accorti… ha cambiato improvvisamente colore e si è accasciato, senza un grido, a terra». Gli altri operai lo hanno soccorso ed hanno chiamato un medico. Purtroppo, per il giovane non c’era nulla da fare.
   Benito Crusco lavorava da appena quattro giorni nella “Società Italiana Reti Telefoniche Interurbane” che sta costruendo a Fiumicino un oleodotto per la “Purfina”: la moglie avrà un bambino fra tre mesi.
   Nonostante i sacrifici personali di alcuni lavoratori, l’interesse verso la ex Purfina iniziò a riaffiorare quando all’indomani dell’inizio della demolizione della ciminiera – avvenuta alle ore 16,30 del 12 maggio 1966 – il Comune s’interessò di discutere l’eventuale utilizzo dei terreni comunali. 
   I lavori per la costruzione della nuova “Raffineria di Roma S.p.A. – RdR”, come concordato, furono avviati nel novembre 1960 a Pantano del Grano, Ponte Galeria. 
   Ci fu una cerimonia alla presenza del sindaco Amerigo Petrucci e delle autorità per l’avvio dello smantellamento degli impianti della ex Purfina di via Portuense; gli operai predisposero la demolizione della cima della torre del craking catalitico: 
   La torre – alta trenta metri – sorge su una struttura quadrangolare di cemento armato, alta 35 metri; è in cima ad essa che, per oltre quindici anni, hanno bruciato i gas di scarico, producendo quella fiamma (lunga parecchi metri) che ha costituito una sgradevole caratteristica della zona bassa di Monteverde nuovo subito dopo è stato abbattuto anche un camino metallico alto 35 metri. 
   Si assistette all’aumento del fenomeno dell’inurbamento e al progressivo spopolamento delle campagne, al punto che già agli inizi degli anni Sessanta nella capitale si poté accertare un aumento della popolazione del 30%.
Nel 1965 scrive Nicoletta Campanella «non c’è più un metro quadro libero». «Le zone dedicate al verde pubblico sono del tutto inesistenti. Il più grande problema è lo smaltimento del traffico, che, oltre a quello locale, comprende anche quello della vasta zona commerciale che si è venuta a mano a mano allargando. Così il quartiere Marconi, sorto sotto la spinta speculativa, è arrivato aduna densità edilizia di 1300 abitanti per ettaro».
   Per i sei ettari, che l’amministrazione comunale non sembrò opporsi alla cementificazione edilizia nella zona Marconi, gli abitanti avanzarono le prime critiche per l’assenza di strutture sportive, verde pubblico e, soprattutto, di servizi pubblici, in un’area già densamente popolata. Nella zona fu stimata una densità di popolazione di circa 1.200 abitanti per ettaro (inteso come più del doppio dei massimi previsti per l’urbanistica dell’epoca), su una popolazione totale che superò ormai due milioni e mezzo di abitanti nella capitale; cui, peraltro, furono assegnati nel rapporto tra indice di densità e indice di fabbricabilità, ottanta metri cubi lordi di costruzione per ogni abitante. 
   Così come dichiarò Giuliano Prasca, dirigente provinciale dell’Unione italiana sport per tutti: 
   Se non ci muoviamo seriamente oggi, se non costringiamo gli organismi responsabili a fare una scelta che vada in direzione dello sport popolare e di massa rischiamo di permettere ancora alla speculazione edilizia di “murare viva” un’altra zona della città, un’altra generazione di giovani.
   Dal fronte del territorio le cose stavano prendendo questa “piega”, mentre anche a Ponte Galeria le lamentele non mancarono, come dimostrò, anche, un’interrogazione di alcuni senatori riguardo all’assenza di un piano di opere pubbliche “nonché di precise responsabilità della società Purfina per i lavori in corso”. 
   Dal fronte mare la situazione non era delle migliori: “Petroliera squarciata al largo di Fiumicino”, il titolo della stampa dell’epoca.
   Una chiazza oleosa di almeno venticinque chilometri, per almeno seimila tonnellate, al largo di Fiumicino si presentò il 25 maggio 1966, causata da una petroliera belga, la Fina-Norvege, che urtò il 17 maggio a largo di Biserta (città costiera a Nord-Ovest di Tunisi) nella scogliera di Cani-Roks, producendosi uno squarcio sulla chiglia con conseguente perdita di carico, da otto dei diciotto serbatoi.
   La petroliera, con una stazza di trentamila tonnellate, partì dal Golfo Persico per raggiungere il porto di Wilhelmshaven nella Germania del Mar del Nord, ma a causa dello squarciamento il capitano ricevette ordini di virare per l’isola artificiale della Fina, collegata alla nuova raffineria di Ponte Galeria.
   Il 18 maggio, la Capitaneria di Roma, venuta a conoscenza dell’arrivo della nave sinistrata ne vietò lo scarico del petrolio rimanente al terminale della raffineria di Fiumicino, anzi il comandante ordinò all’agenzia marittima Pilota e Gionda, di appoggio alla petroliera, di farle riprendere il largo. Il capitano della nave, sentita anche la società Petrolfina di Bruxelles, si portò nelle acque internazionali (all’epoca di otto miglia marine dalla costa) per attendere un’altra petroliera e fare il travaso, nonostante la perdita di petrolio. 

   La Fina-Norvege, liberatasi dal carico, ripartiva per Marsiglia per esser sottoposta a lavori di riparazione. Per altro nel tragitto da Biserta a Fiumicino e durante le operazioni di trasbordo dai serbatoi squarciati era fuoriuscita una certa quantità di liquido che inquinava il mare antistante le coste laziali, interessando anche parte degli arenili. Per eliminare tali danni, che si presentavano più immediati, il Ministero della marina mercantile indiceva una riunione alla quale intervenivano i rappresentanti dei ministeri dei lavori pubblici, dell’interno, della sanità, nonché quelli dei vigili del fuoco e del comune di Roma. Nel corso della riunione si procedeva ad un approfondito esame della situazione e si studiavano le misure necessarie per aggredire le macchie prodottesi.
   Le capitanerie di Roma e di Civitavecchia, i cui litorali erano stati interessati dal pericolo dell’inquinamento in questione, assumevano la direzione delle operazioni di esplorazione e di individuazione delle macchine e provvedevano, con l’ausilio di mezzi aerei e navali, anche con la collaborazione del comando provinciale dei vigili del fuoco, dell’ufficio del genio civile opere marittime e degli stessi tecnici e operai messi a disposizione dalla società FINA italiana, ad aggredire gli strati d’olio dispersi sul mare, mediante uno speciale solvente, nonché a bonificare le zone di arenile raggiunte dalle macchie oleose. Le operazioni, svolte scrupolosamente ed energicamente, diedero esiti positivi per cui il pericolo incombente sulle spiagge laziali veniva superato.
   Le spiagge del litorale laziale furono inquinate in parte durante le operazioni di discarica di crudeoil nella motonave Fina-Canada, che affiancò già dal 23 maggio la Fina-Norvege sventrata. Le operazioni di scarico iniziate il 25 maggio durarono fino al 27 maggio: in dieci ore furono trasbordate sedicimila e qinquecento tonnellate di petrolio. Il Ministero della marina mercantile e l’Ufficio d’igiene del Comune vietarono la balneazione nelle spiagge del litorale da Santa Marinella a Fiumicino. 
   Un certo ottimismo, però, pervase tra gli uomini delle capitanerie interessate, grazie a una speciale sostanza dissolvente per bonificare le spiagge e a breve, avrebbero potuto riavere l’autorizzazione alla balneazione, con gioia dei romani che si apprestavano a iniziare la stagione estiva. 
   Restarono comunque proibiti i bagni nelle spiagge da Fiumicino, a Passoscuro, e proprio da questi litorali iniziarono i controlli dei vigili del fuoco, al fine di effettuare l’opera di pulizia. 
   Dopo una serie di sorvoli, i velivoli dell’aeronautica, decollati da Pratica di Mare e da Ciampino, hanno circoscritto, in un’area di oltre dieci miglia marine, tre chiazze di petrolio da recuperare: una chiazza, un chilometro di lunghezza per trecento metri di larghezza, che il vento aveva spinto verso Ostia e Anzio; un’altra che puntava verso Fiumicino e Civitavecchia; la terza, la più grande, di circa quindici chilometri di lunghezza, aveva “preso il largo” per dirigersi verso le coste della Sardegna. La problematica per quest’ultima chiazza fu quella della frantumazione in altre più piccole, a causa della navigazione d’imbarcazioni in rotta verso la concentrazione di petrolio.
   Intanto, negli arenili le ruspe iniziarono la loro opera di bonifica, arando e smuovendo la sabbia, in modo da seppellire più profondamente il petrolio giunto a riva.
   Fu incaricata della bonifica in mare la società Gemien Chimical, che con l’aiuto delle motovedette della guardia di finanza, avrebbe dovuto spandere in mare circa seimila litri di dissolvente detto «oil spill remover», proveniente da Genova.
   Dopo circa un mese ‒ a stagione balneare iniziata ‒ una serie di telefonate alla Capitaneria di porto di Roma, la sera del 20 giugno, avvertì della presenza di una larga macchia di petrolio (larga almeno cinquanta di metri) molto vicina alla riva tra Fiumicino e Castel Fusano.
   Un nauseante odore si percepì già a circa dieci metri dalla spiaggia, tale da compromettere oltre alle speranze dei bagnanti, anche, l’attività commerciale degli stabilimenti e dei locali del litorale, i quali aspettarono l’arrivo della stagione per coprire le spese sopportate fino allora. Purtroppo, le operazioni di scarico dalla petroliera norvegese Vanderfjel nell’isola a mare di RdR lasciarono nelle acque una notevole quantità di greggio, a causa del malfunzionamento del sistema di scarico e del forte vento di libeccio che si alzò.
   Autorizzata nel maggio 1965, la piattaforma galleggiante faceva parte del progetto di spostamento della ex Purfina da via Portuense, ma a quanto pare l’isola a mare, posta a sei chilometri e mezzo dalla costa, era considerata dai pescatori e dai frequentatori del litorale una vera sciagura. Lo scarico di greggio dalle petroliere avrebbe, comunque, lasciato traccia dell’operazione, disperdendo in mare una quantità di liquido tale da inquinare il mare circostante.
   Arrivando al Lido di Ostia si veniva sopraffatti da un odore nauseante, acre, che ricordava ai romani quello della raffineria Purfina in città. Molti stabilimenti – a gestione familiare – soprattutto a ponente dal pontile dei Ravennati, furono costretti a restituire i soldi ai clienti e a chiudere, poiché ridotti in condizioni tali da non poter offrire i servizi ai bagnanti, a causa delle macchie oleose che raggiunsero la riva. Dei frangiflutti di fortuna furono approntati davanti alla spiaggia, per limitare i danni.
Lo scarico di petrolio dalla piattaforma galleggiante fu, comunque sospeso, su provvedimento del Compartimento marittimo di Roma e nel frattempo molti gestori degli stabilimenti fecero da soli, riempiendo grandi fusti di petrolio raccolto a pelo d’acqua. 
   Il 23 giugno 1966 ci fu un’assemblea aperta ai cittadini di Ostia e Fiumicino, in cui concessionari e personale degli stabilimenti, commercianti e operatori economici del litorale incontrarono, allo stabilimento La Conchiglia, parlamentari e consiglieri comunali per discutere le decisioni del caso. 
   All’inizio di luglio 1966, una commissione d’inchiesta con i funzionari del ministero, il comandante della capitaneria di porto, il direttore dei porti, il comandante dei vigili del fuoco effettuarono una prova di scarico del greggio dalla petroliera Brajara, per valutare eventuali fuoruscite accidentali, causate dal cambio di vento e altro. Fu indicato il divieto di scarico durante le ore notturne, ma il direttore della raffineria ingegner Aldo Simonetti e il responsabile dello scarico Giuntioli, chiesero di poter effettuare l’operazione dotando la petroliera di impianto di illuminazione ausiliario. La Brajara fu dotata di riflettori e l’operazione fu seguita dai membri della commissione d’inchiesta. 
   I risultati dei lavori della commissione furono resi noti a fine agosto, a cura del Ministero della marina mercantile, con indicazioni riferite allo scarico notturno, da potersi effettuare solo in condizioni di mare calmo e con illuminazione adeguata; la notizia d’interesse fu, però, quella di un deposito cauzionale presso la Capitaneria di porto di Roma, a carico della raffineria, per le spese immediate di primo intervento in caso di danni causati dallo scarico di petrolio.

   Verso la fine del mese, in conformità a numerose rimostranze ricevute, non da ultimo anche dall’Ente provinciale per il turismo, il Ministero della marina mercantile revocò la concessione alla RdR: 

   Notevoli residui oleosi galleggianti, che possono far presumere l’esistenza di ulteriori fuoriuscite di prodotto o di altri danni agli impianti a mare, del rischio che potrebbe derivare dalle continue operazioni di carico e scarico e per il pericolo di nuovi inquinamenti, gravemente pregiudizievoli per il turismo balneare e gli altri usi del mare, dell’esigenza di effettuare tutti gli accertamenti tecnici sull’attuale efficienza degli impianti. 
   Nella metà degli anni Sessanta nella capitale gli scontri tra le fazioni politiche di destra e di sinistra si ebbero con una certa frequenza già nei fine settimana. Alla Studium Urbis gli studenti aumentarono in modo significativo, anche se «La Sapienza» – l’università più grande d’Europa –rimase ancorata alle logiche tradizionali e il fermento studentesco si tradusse in scontri violenti tra studenti di destra e di sinistra. Il 27 aprile del 1966 lo studente Paolo Rossi morì sulle scalinate della facoltà di Lettere e filosofia durante un’incursione di studenti di destra. Gli studenti e i professori per protesta occuparono in modo non violento diverse facoltà e, per la prima volta nella storia dell’ateneo, il rettore Ugo Papi si trovò costretto a dimettersi. 
   Verso la metà di questo decennio, quindi sulla base del progresso del mondo occidentale legato sempre di più alle comunicazioni, attraverso giornali e televisioni, anche questa metropoli si preparò a quello che poi esplose nel ’68. 
   Per quanto riguarda la zona Marconi, l’inizio del 1967 fu dedicato allo spostamento di una tomba romana ritrovata nell’area dell’ex raffineria in via Portuense. Un’intera camera mortuaria di epoca romana del II secolo d.C., del peso di 85 tonnellate, di 4,70 metri di lunghezza per 1,70 metri di larghezza, fu trasportata la sera del 13 gennaio al museo delle terme di viale Diocleziano. L’operazione fu svolta da due gru (provenienti una dall’EUR l’altra dalle Acciaierie di Terni) tra le più grandi allora in Italia, con la supervisione della Soprintendenza ai beni culturali. 
   Lo spostamento, programmato da tempo, riguardò i ritrovamenti fatti già negli anni Cinquanta nell’area della raffineria, durante i lavori di costruzione di alcuni impianti. Un monumento funebre di elevato valore e importanza artistica per la lavorazione delle decorazioni raffiguranti volti femminili rivestenti le quattro pareti richiese una programmazione per lo spostamento al museo. La volta arcuata con le pareti laterali con tre ordini di nicchie sovrapposte, con altre urne nella parete di fondo di cui una molto interessante, poiché ornata da un frontone e un timpano. 
   La polizia stradale predispose il controllo sul percorso e i vigili urbani ne liberarono la viabilità per far raggiungere al grande ammasso di tufo la sede definitiva, in modo da fare compagnia alla “tomba dei dipinti” già al museo dal momento del ritrovamento, sempre in via Portuense. 
   Un enorme carrello di sessantaquattro ruote della portata di centocinquanta tonnellate ha accolto la gabbia con il reperto archeologico, per effettuare il tragitto predisposto dalla polizia, trainato da una motrice. A tarda sera, agenti della polizia e funzionari del ministero hanno assistito il carico del cartellone alla presenza della dottoressa Zaccagni della Sovrintendenza alle antichità, oltre al nutrito gruppo di giornalisti. 
   Dopo questo clamoroso evento, anche a seguito dell’applicazione del nuovo Piano regolatore generale del 1962, dalla metà degli anni Sessanta si applicò la lottizzazione dell’area «ex Purfina» e già nel 1968 i cantieri cancellarono anni di odore nauseabondo, di notti illuminate dalla fiamma della raffineria e di battaglie civili per allontanare gli impianti fuori dalle cinte della capitale. 
   L’area dei cantieri ospitò, in occasione delle elezioni politiche che si svolsero il 19 maggio, Enrico Berlinguer, che tenne a mezzogiorno un incontro con gli edili il giorno 15 maggio. Il segretario del Partito comunista, capolista del Pci nel Lazio, durante l’incontro riuscì a ottenere un impegno dagli iscritti, cioè di dedicare le ore libere del sabato alla campagna elettorale, cercando di convincere gli indecisi e inoltre, di spiegare bene come effettuare le votazioni di fronte alla scheda elettorale, soprattutto, ai più anziani. Un operaio Aldovino Marsicola confermò e lesse un appello al segretario:

   Il 19 maggio – dice fra l’altro l’appello – la nostra categoria, confermando la sua adesione al PCI, esprimerà anche con il voto la propria volontà di riscatto e di progresso. Ma non basta limitarsi a votare per il PCI. Contro il sostegno che i padroni, la stampa e la TV danno ai partiti governativi e di destra, in queste ultime ore, per sostenere la campagna per il PCI occorre parlare a tutti - amici, parenti, conoscenti; occorre insegnare a votare, occorre portare a tutti la certezza che con il voto al PCI si può cambiare la situazione italiana, e la condizione operaia. Invitiamo tutti gli edili – prosegue l’appello – a mettersi nei prossimi giorni a disposizione delle sezioni comuniste per contribuire con il loro lavoro all’avanzata del PCI. Con questo impegno, partecipiamo in massa al comizio di Luigi Longo a San Giovanni venerdì alle 18; raccogliamoci attorno alla bandiera del Partito comunista».
   Fu il decennio del XX secolo caratterizzato dal più importante rinnovamento generazionale, i cui eventi socio-politici e culturali avrebbero influenzato e modificato, inevitabilmente, gran parte dei valori identitari e degli stili di vita delle generazioni future. 
Alla fine di questi anni Sessanta, di fatto, anche a Roma un’ondata di rivoluzione “avvolse” gli studenti universitari, ma anche altri giovani sia operai, sia impiegati, che disoccupati, i quali – grazie al massivo incremento dei mezzi di comunicazione e soprattutto con la maggiore distribuzione dei televisori a disposizione nelle varie famiglie – si interrogarono, tra l’altro, sulle vicende statunitensi di reazione all’imperialismo, ma anche sui giovani francesi che reagirono all’autoritarismo gaullista, nonché sulle proteste dei giovani cecoslovacchi durante la primavera di Praga. Gli scontri si acuirono nel maggio del 1968, dai famosi fatti di Valle Giulia. 
   Roma, come le principali grandi città italiane, fu rappresentativa del sottoproletariato urbano che invase i vari quartieri, alla ricerca di alloggi dove poter far crescere le proprie famiglie. Per quanto riguarda la zona Marconi, un’occupazione di appartamenti avvenne in via Prati di Papa nel novembre 1969. Di fatto duecentodieci famiglie furono processate dalla seconda sezione della Pretura penale, anche se le trattative si svilupparono negli anni Settanta con l’intervento del sindaco Darida, che cercò di mediare con i proprietari degli immobili, proprio per cercare di favorire l’acquisto delle unità abitative da parte degli occupanti. 
    Le sorti della ex Purfina si conclusero con la fine del decennio, e affidarono alla nuova RdR i nuovi eventi, di quella che fu la più grande raffineria dell’Italia centrale. 

   All’orizzonte si prospettarono la crisi petrolifera e l’austerity del 1973. 



fine ultima parte

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