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8 marzo 2010

Placido Rizzotto: terra ai contadini, basta con lo sfruttamento. Ribellatevi


Era la Sicilia di inizio Novecento, dove ancora forte nelle campagne occidentali si poteva notare la suddivisione della terra in grandi latifondi[1], denominati localmente «feudi».
   Questi si erano costituiti grazie alla classe politica meridionale, che aveva barattato lo sviluppo del settore agricolo e il conseguente miglioramento del livello di vita degli agricoltori, con un dazio che favoriva esclusivamente la rendita parassitaria dei grandi proprietari assenteisti[2].
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   Nel 1906 nel paese di Corleone a 60 chilometri da Palermo, era stata fondata la cooperativa “Unione Agricola”, che diventò lo strumento per attuare le cosiddette affittanze collettive, un sistema che avrebbe permesso ai contadini, di poter contrattare l’affitto di appezzamenti di terra dei feudi, direttamente con i proprietari, senza l’intermediazione parassitaria dei gabellati, che per lo più erano componenti della famigerata associazione segreta dei fratuzzi, come allora si chiamavano i mafiosi:
Codesti antichi gabellati mafiosi − dichiarò Bernardino Verro il 31 gennaio 1911 − finché erano stati i soli a pretendere in affitto gli ex feudi, avevano potuto imporre ai proprietari e ai contadini le condizioni più favorevoli ai loro interessi, mentre invece col sorgere della cooperativa agricola e coi relativi scioperi i contadini erano venuti a trovarsi di fronte ad una concorrenza formidabile, in quanto che la cooperativa offriva ai proprietari delle terre estagli più elevati di quelli imposti dai gabellati mafiosi. Da qui l'odio profondo di costoro, che venivano lesi nei loro interressi.
    All’inizio del 1914, in questo scenario, nasceva un personaggio a cui il destino affidò il compito di lasciare un’impronta in questo Paese, Placido Rizzotto: primogenito di una famiglia contadina numerosa, assieme a suo fratello Antonino e cinque sorelle, che rimasero orfani della mamma Giovanna Moschitta in tenera età.
   Abituato sin da piccolo ad aiutare il padre Carmelo, col fratello, nella coltivazione della terra, dovette occuparsi delle sue sorelle all’età di 11 anni, a seguito di “fastidi” giudiziari causati dal prefetto Cesare Mori al padre, che terminarono con l’arresto per i successivi quattro anni, accusato di associazione a delinquere e motivo per cui il piccolo Placido fu costretto ad abbandonare gli studi scolastici:
Prima sì, era andato alla scuola, e come veniva dalla scuola se ne veniva in campagna. Giocava, guardava, vedeva quello che facevo io, cominciava a assaggiare le mammelle delle vacche, poi m’hanno messo dentro con l’associazione Mori, e lui si é dedicato per forza a stare in campagna. Dormiva sulla paglia, sul fieno, foraggio come si chiama. Combatteva con le vacche. Contrastava con le vacche, contrastava a fare un poco di frumento... ed io ero dentro. Quando mi hanno messo dentro – aggiunse Carmelo Rizzotto – restò quel bambino solo, era il maggiore di tutti, aveva undici anni quando dovette restare solo, Placido. Pascolava sui campi, gli avevo lasciato quattro vacche e poi ci hanno aumentato, sei, sette, otto, perché non le potevano vendere, erano sequestrate ma gliele avevano lasciate: solo non le poteva vendere. Io ero all’Ucciardone, sua madre era morta durante la guerra del ’15-18 con la spagnola, e mi ero risposato, questa di seconde nozze era analfabeta. Mi scriveva come andavano gli affari, gli animali e poi è venuto al colloquio, all’Ucciardone, si è mettuto a piangere quando mi ha visto la prima volta. Piangeva, cosa poteva dire? Piangeva per me e per lui. Mancato io ci mancava tutto[3].
   La sorella più piccola Pina, a casa e nella vita quotidiana ne denotò i tratti:
Era dolcissimo, era allegro, teneva la famiglia in armonia.
Nelle feste ci piaceva fare i preparativi insieme a papà, cucinare la carne… lui invitava amici, invitava gente per suonare in casa, si ballava. Una volta, tornando in licenza dal servizio militare, da Roma mi portò una mantellina di color beige con i pallini bianchi. L’indossavo tutta contenta e alle mie compagne di scuola dicevo con orgoglio che me l’aveva regalata mio fratello
[4].
   Ancora fame e miseria, volontà di scrollarsi di dosso secoli di schiavitù feudale e speranza di riscatto sociale, all’inizio del secondo dopoguerra, costituirono la molla che spinse enormi masse di senza terra e di senza lavoro ad unirsi, per rivendicare patti agrari più giusti e condizioni di vita più umane.
   Argomenti che sicuramente rimasero impressi, al rientro in una Corleone ancor di più abbandonata nelle mani delle angherie mafiose, a Rizzotto, che proveniva dalle fila della Resistenza, con cui aveva diviso momenti difficili nella Brigata Garibaldi, in operazioni svolte in Veneto contro i nazifascisti, dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre ’43; lottare insieme alla gente del Nord, come partigiano tesserato al Psi[5] clandestino, aveva aperto nuovi orizzonti ad un giovane contadino della Sicilia, che era stato richiamato alle armi in difesa del suolo italico per combattere nei monti della Carnia in Friuli, mostrando le sue doti al punto di essere promosso fino al grado di sergente, permettendogli di offrirsi maggiormente ad una forte coscienza sociale che non poteva più guardare alle ingiustizie, soprattutto se legate alla mera sopravvivenza dei suoi compaesani.
   Dal quinquennio 1945/50, infatti, nel palcoscenico nazionale si lottò per l’effettiva applicazione dei “decreti Gullo”, proposti dall’allora ministro dell’Agricoltura nel secondo governo Badoglio, indicato come “il ministro dei contadini”: provvedimenti questi, che avrebbero dato maggiori garanzie alle famiglie di braccianti e di contadini affamati dalla guerra.
   Placido Rizzotto sentì quindi, la necessità di intraprendere l’attività politica e sindacale nella Cgil di Giuseppe Di Vittorio, riorganizzando le masse contadine per dare “l’assalto” al latifondo; azioni che lo portarono alla nomina di segretario della Camera del Lavoro e segretario della sezione del Partito Socialista Italiano di Corleone; fu nominato inoltre, dai reduci e combattenti, presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Palermo. Tra la fine del ’45 e il Marzo ’48 tenne una notevole attività sindacale, occupando pacificamente vari feudi nel circondario tra Corleone e Ficuzza, incitando i contadini alla ribellione, armato di bandiere rosse.
   Corleone piccola cittadina dell'entroterra palermitano, iniziò a lottare per il suo riscatto già nel 1892, quando nacque l’8 settembre col primo governo Giolitti[6], in carica dal 25 maggio, uno dei più agguerriti “Fascio dei Lavoratori”, che vide alla sua guida il futuro primo sindaco socialista Bernardino Verro, il quale si insediò nel 1914; questo di Corleone fu il primo Fascio delle campagne, che aderì assieme a quello di Palermo al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e che suscitò la reazione del padronato agrario del paese, impegnandolo a dibattere la situazione assieme a buona parte dei sacerdoti locali nelle sale del “Circolo dei civili”.
   Intanto in Italia lo sviluppo dei Fasci dei Lavoratori aveva portato all’adesione degli stessi nel Partito Socialista, divenendo delle sezioni locali del partito stesso; a tal proposito asserendo che in queste sezioni potessero annidarsi dei delinquenti, il governo autorizzò quella che fu “la prima schedatura politica di massa”.
   Le lotte proseguirono fino a giungere al 31 luglio 1893, quando furono approvati i “Patti di Corleone”, che rappresentarono il primo contratto sindacale scritto dell’Italia capitalistica.
   Nel 1919/20 diede un notevole contributo di lotte al Biennio rosso contadino, nell’ambito del quale caddero per mano mafiosa: l’assessore socialista corleonese Giovanni Zangara, il capolega di Prizzi Giuseppe Rumore e il dirigente contadino Nicolò Alongi.
   Dopo il Ventennio, di fronte alla risorta mafia rurale, che con i suoi campieri tornò a controllare tutti i principali feudi, ci furono una lunga serie di omicidi al termine del conflitto mondiale:
L’ultimo l’hanno ammazzato la settimana scorsa, Li Puma, Epifanio Li Puma si chiamava, era di Petralia, qui un paese delle Madonie. È da quando è finita la guerra che non ci danno più tregua. Il primo fu Andrea Raia l’ammazarono il 6 agosto del ’44 a Casteldaccia, poi ci fu l’attentato a Li Causi a Villalba; Nunzio Passafiume l’ammazzarono a Trabia; Agostino D’Alessandro e Pietro Macchiarella a Ficarazzi; Giuseppe Scalia a Cattolica Eraclea; poi ammazzarono a Guarino il sindaco di Favara e il sindaco di Naro Pino Camilleri; ad Alia nel ’46 buttarono la bomba nella Camera del lavoro mentre c’era una riunione e ammazzarono Giovanni Castiglione e Girolamo Scaccia e Giuseppe Biondo l’ammazzarono a Santa Ninfa; Paolo Farina a Comitini; Nicolò Azzoti a Baucina; Leonardo Salvia e Giuseppe Casarrubea a Partinico; Nunzio Sanzone a Villabate; a Terrasini ammazzarono Giuseppe Maniaci e qua in questo paese a San Giuseppe Jato ammazzarono a Peppe Caiola; poi ci fu la strage di Portella della Ginestra quando i morti furono undici e infine a Marsala ammazzarono Vito Pepitone... [7].
Ora... a chi è che tocca?




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[1] Nel 1812 fu abolita la feudalità e la riforma fu proseguita da Ferdinando di Borbone nel 1818, che tentò di incoraggiare la nascita di una classe di piccoli proprietari, attaccando l’istituto del fedecommesso e abolendo il maggiorascato.
[2] Per approfondimenti, F. Renda, Storia della Sicilia dal 1870 alla caduta del fascismo, vol. II, Palermo, Sellerio, 1990.
[3] Cfr. D. Dolci, Spreco, Torino, Einaudi, 1960.
[4] In generale, G. Ebano, Felicia e le sue sorelle. Dal secondo dopoguerra alle stragi del ’92-93: venti storie di donne contro la mafia, Roma, Ediesse, 2005.
[5] A Genova, nell’Agosto del 1892 si costituì il Partito dei Lavoratori, che nel ‘93 fu rinominato Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.
[6] Giolitti non avrebbe contrastato le spinte provenienti dal mondo del proletariato operaio e contadino, anzi nell’ambito della libertà di sciopero, avrebbe richiesto l’applicazione delle restrizioni solo per episodi di violenza.
[7] Tratto dal film Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca, Italia, 2000.

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dal prof. Attilio Mangano in Ciao Mondo! yes, we can