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21 settembre 2009

Aurora: da necessità a passione, con un pizzico di orgoglio nazionale


La fortuna del ricco commerciante tessile Isaia Levi, ha permesso di far giungere fino a noi degli oggetti d’arte, con un marchio che rappresenta lo stile italiano nel mondo.
   Ricorre il 90° anniversario della “Aurora”, nome quanto mai adatto a esprimere le speranze e i sentimenti del popolo italiano, ancora oggi la primaria azienda nazionale nel settore.

   Era il 1919 e nasceva a Torino, nella sede storica in via della Basilica 9, la “Fabbrica italiana di penne a serbatoio Aurora”, mentre l’Italia era percorsa da una fase di rivolte, che fu denominata «Biennio rosso». Tra la fine del 1918 e l’Estate del 1920 il movimento operaio sorretto dai socialisti, tra cui il sindacalista Fiom Bruno Buozzi, diede corso a un imponente periodo di agitazioni che gli consentì di migliorare i livelli retributivi; fra l’altro si ottenne la riduzione dell’orario alle “otto ore giornaliere a parità di salario”. «Fare come in Russia!» divenne la parola d’ordine, indicando lo stato bolscevico russo come un modello da seguire, però, questa fu l’epoca in cui i prezzi continuarono ad aumentare oltre il 30% annuo. Il caro viveri si faceva avanti e anche il mondo agrario insisteva sul programma della “socializzazione delle terre”, supportato dalle leghe rosse comuniste e dalle leghe bianche d’estrazione cattolica, a favore della mezzadria e della piccola proprietà contadina; tanto che tra l’Estate e l’Autunno del 1919 ci fu l’occupazione delle terre incolte da parte dei contadini poveri ed ex combattenti della Grandeguerra. Ma una parte notevole dell’opinione pubblica, specie del Nord dove si erano avuti i maggiori scontri del Biennio rosso, iniziò a spostarsi a destra.
   Il primo brevetto di penna a serbatoio si ebbe nel 1884 negli Stati Uniti, dall’interessato Lewis Edson Waterman e la legenda vuole, che al fine di far firmare con una certa urgenza dei contratti assicurativi ai suoi clienti, con uno strumento che non comportasse sgradite sorprese, quali: un’eccessiva fuoriuscita d’inchiostro sulla carta o comunque un’uscita incontrollata, tale da macchiare le mani e i vestiti, depositò il modello, formato da un cilindretto scanalato su cui poggiava il pennino che permetteva un regolare afflusso dell’inchiostro e una scrittura fluida.
   All’inizio degli anni Venti, la Aurora mostrò da subito le sue capacità progettuali e di realizzazione di strumenti di scrittura di pregio, da potersi utilizzare in qualsiasi momento. Da un originale fine artigianato, nacquero le prime penne stilografiche a serbatoio in Italia, risultato dell'evoluzione tecnologica, iniziata nel XVII secolo; frutto di attenzione, buon gusto, tecnica e utilizzo di materiali preziosi, che riuscirono a essere distribuite nei principali centri urbani, anche per l’organizzazione di una fitta rete di vendita che Levi riuscì a creare, amplificata da accattivanti manifesti pubblicitari.
    L’avvento della dittatura, inoltre, ne favorì la produzione e la commercializzazione all’interno del territorio, grazie anche alla differenza di prezzo con la concorrenza americana, dovuta all’assenza del pagamento del dazio, sofferto invece dalle merci straniere. Era la prima fase del Fascismo, la cosiddetta «fase liberistica».
    Per cercare di analizzare meglio l’epoca del dopoguerra – che fu sicuramente dettata da un eccessivo intervento della burocrazia pubblica – è possibile leggere quanto propose l’economista Umberto Ricci, che non si richiudeva semplicisticamente nel laissez-faire. Egli, infatti, fu perfettamente consapevole che specie in periodo di guerra, il libero mercato possa essere incapace di realizzare le più elementari esigenze di giustizia sociale e di sussistenza dei ceti meno abbienti. Una qualche forma d’intervento pubblico era riconosciuta dunque necessaria. Al riguardo, Ricci suggerì che successivamente lo Stato facesse organizzare la propria manovra da “uomini esperti” e da “organizzazioni economiche”, già operanti nel settore privato dell’economia. Proprio in questa logica, Ricci suggerì altresì, un metodo di razionamento dei beni di prima necessità, non più basato esclusivamente sui comandi e sui provvedimenti amministrativi della burocrazia pubblica, ma su un sistema di prezzi multipli, da realizzare anche tramite il mercato.
   Il quadriennio 1922-1925, all’interno del Ventennio fascista, fu il periodo in cui nel settore industriale si conseguirono i maggiori incrementi in termini di profitti, d’investimenti, di produzione, di occupazione. La disciplina di fabbrica[1] aveva assunto un’organizzazione di tipo gerarchico-militare e la mano d’opera era scrupolosamente tenuta sotto osservazione, al fine di una maggiore resa nell’arco delle ore lavorative, cui erano sottoposti gli operai e di cui facevano parte anche minori, negli opifici nazionali. Del resto, l’azione propulsiva avviata da Frederick Winslow Taylor, che prendeva le radici dalla sua monografia del 1911, The principles of scientific management, in cui, tra l’altro, Taylor aveva proposto di identificare per ogni mansione da svolgere, un lavoratore adatto al raggiungimento degli obiettivi prefissati, avviando uno sviluppo industriale tale che in questo quadriennio vedeva la Fiat a un apice di livello europeo.
   In questo periodo la Aurora produsse le prime penne pubblicitarie, in particolar modo creando personalizzazioni appunto, per la Fiat; già nel 1926 fu presente, solo a Milano, con 55 punti vendita che comprendevano cartolerie, oreficerie per i prodotti laminati, officine grafiche e grandi magazzini come “La Rinascente”.
   Furono i Patti lateranensi del Febbraio 1929 a essere sottoscritti proprio con una penna Aurora.
   Negli anni Trenta, Aurora in Italia era sinonimo di penna stilografica con la “P” maiuscola.
   Dopo la distruzione della sede storica a causa dei bombardamenti del 1943, Aurora trasferì il proprio stabilimento alle porte Nord della città di Torino, nei pressi dell'Abbadia di Stura, un’abbazia benedettina medievale.
   La Aurora 88, disegnata da Marcello Nizzoli nel 1946, si propose come valida antagonista della Parker e con lo slogan «bella e fedele», nei primi cinque anni vendette più di un milione di pezzi. Fu la penna della rinascita italiana, moderna, affidabile, grande.
   Oggi parlare di Aurora 88, significa riportare alla mente gli anni che furono, sino a giungere agli anni del famoso «miracolo economico», anche se il declino delle penne stilografiche era stato segnato, a causa dell’invenzione avvenuta durante la Seconda guerra mondiale e dell’arrivo massiccio sul mercato di un nuovo tipo di penne ancora usate ai giorni nostri, le penne biro. Ma questa è un’altra storia.




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[1] Per maggiori approfondimenti cfr. G. Maifreda, La disciplina del lavoro. Operai, macchine e fabbriche nella storia italiana, Milano, Bruno Mondadori, 2007. 

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