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27 gennaio 2010

Stücke in tedesco significa “pezzi”


L'idea che i siciliani, per via dell’iniziale liberazione avviata anche dal litorale ragusano con lo sbarco del 10 luglio del 1943 delle truppe angloamericane, fossero stati immuni dall'esperienza dei campi di concentramento o di sterminio nazisti, purtroppo, non fu supportata dalla dura verità.
    In realtà i siciliani che finirono nei lager gestiti da Heinrich Himmler e dal suo apparato delle SS Schutzstaffeln (squadre di protezione), furono 761, le cui vicende rimasero a lungo tempo sconosciute, poiché in Sicilia mancò un canale istituzionale capace di aggregare gli ex deportati e di raccoglierne le memorie collettive della deportazione.
   Dopo la dichiarazione di armistizio firmata su un tavolinetto in una tenda da campo a Cassibile, in provincia di Siracusa e resa pubblica l’8 settembre 1943, molti siciliani si trovarono sbandati al Nord o nell’Italia centrale, come fuori dai confini, impossibilitati a tornare ed esposti ai rastrellamenti nazisti. Ai siciliani che furono deportati nei campi di concentramento o di sterminio (KZ), perché considerati nemici del Reich oppure non degni di vivere secondo le leggi razziali, si unirono i siciliani internati nei campi per prigionieri di guerra e lavoratori coatti (Stalag), insieme a militari italiani internati (IMI).
   Molti furono fatti prigionieri, siciliani che risiederono in Germania per lavoro già prima dell’8 settembre, altri, che furono rinchiusi nelle carceri poi svuotate dai nazisti, furono classificati come schuthäftling – che significava prigioniero per la sicurezza dello stato, una lugubre formula giuridica che consentiva alle SS di arrestare e trattenere arbitrariamente chiunque in apposite installazioni, senza alcun controllo della magistratura. La formula del “prigioniero per la sicurezza dello stato” fu utilizzata anche dal regime fascista, specialmente dall’ottobre del 1943 nell’Italia settentrionale, formula che la Repubblica sociale italiana guidata da Mussolini, applicò nella guerra contro i partigiani.
   La deportazione dei siciliani riguardò per appena lo 0,5% del totale, gli ebrei, mentre coinvolse massicciamente sovversivi e antifascisti, schedati per il 65,5% come schutzhäftling e politisch; per il resto, il 25,3% dei deportati fu detenuto in carceri militari o civili nel territorio occupato italiano, di cui il 4,1% internati militari e il 4,2% civili, responsabili d’infrazioni al codice del lavoro nazista.
Mein Herr, ich zählte von mir, daß es 200 Stücke ist
Signore, ho contato che da me sono 200 pezzi.
   Era la frase con cui si terminava l'appello nei campi nazisti, oppure 1.000 o 10.000 secondo la grandezza del campo. Sempre “pezzi“ però – non prigionieri, tanto meno persone. Furono considerati stücke anche i siciliani internati nei lager.
   Nel periodo dal 1943 al ’45 anche la collettività della provincia di Ragusa contribuì a infoltire le file dei deportati nei campi in Germania con quaranta concittadini, che furono fatti prigionieri: 20 morirono nei lager, 19 sopravvissero, 1 ebbe una sorte incerta, forse morì in un lager, forse no. Per quanto riguarda i diciannove sopravvissuti: 14 morirono successivamente per le conseguenze dei trattamenti subiti, mentre 5 ebbero modo di narrare le proprie vicende fino alla fine degli anni novanta. Dei deportati nei lager i morti furono: 5 di Modica; 3 di Ragusa; 3 di Vittoria; 3 di Comiso; 2 di Scicli; 1 di Acate; 1 di Monterosso Almo; 1 di Giarratana e 1 di Pozzallo. Venti storie diverse, venti vite spezzate.
   Tra i sopravvissuti ci fu anche il modicano Giuseppe Buffa, nato nel 1917, bracciante giornaliero di campagna, arrestato nell’Oltrepò pavese per aver collaborato con la Resistenza. Buffa fu portato nel carcere milanese di San Vittore, con altri prigionieri e da lì tradotto in un campo di concentramento a Cuneo, che così racconta:
N’inquatraru tanti ghiarbati, ni purtaru ‘a stazioni, ni ficiru trasiri e’ vaguni bestiami e ni ficiru mintiri stritti-stritti ca nun ni putievimu mancu calari unu ccu l’autru. E partiemmu ppa Germania...[1] 
   Era l’inverno del 1944, quando fu “spedito” a Mauthausen, da dove sarebbe stato liberato il 5 maggio 1945, all’arrivo delle truppe americane. Fino al 1996 lo Stato italiano non conosceva il suo caso, sin quando Buffa richiedeva al ministero del Tesoro l’assegno vitalizio che gli spettava per la sua esperienza nel lager nazista. Quello di Buffa fu certamente un caso-limite, che emerse come dato comune riferito all’isolamento e alla difficoltà di testimoniare in pubblico l’atroce esperienza del lager, in una regione come la Sicilia, che rimase ai margini dell’occupazione nazista e che non assistette direttamente al dramma della deportazione. L’incredulità e l’indifferenza sperimentata nella situazione regionale, insieme all’impossibilità di ottenere riscontri documentari, hanno rischiato così di cancellare una storia mai scritta. Giuseppe Buffa è scomparso recentemente.




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[1] Ci inquadrarono ordinatamente, ci portarono alla stazione, ci fecero entrare nei carri bestiame e ci fecero mettere molto stretti che non potevamo neanche abbassarci. E partimmo per la Germania. Per ulteriori approfondimenti cfr. G. D'Amico, I siciliani deportati nei campi 1943-1945, Sellerio, Palermo 2006.


Immagine da Valseriana

© 2013
Per citare questo articolo
G. La Rosa, Stücke in tedesco significa “pezzi”, in "Il tempo la storia. L'anno zero dell'Italia giovane e creAttiva", R. Bonuglia (a cura di), Roma, Edizioni Il Tempo la Storia, 2013.

Articolo citato
in IMI a confronto: l'esperienza di ufficiali e soldati nei campi nazisti, F.T. Ciraci, M. Fanfoni, L. Pompei, F. Ruberti, V. Turco (a cura di), Università di Roma "La Sapienza", Storia Sociale e Culturale, A.A. 2013/2014.